Crisi interiore

La sfida di Giobbe non è presunzione. Egli vive nel timore di Dio ed è cosciente del suo limite di fronte all’onnipotenza divina, ma consapevole della propria rettitudine, chiede a Dio una risposta alla sua disperazione. «Oh, potessi sapere dove trovarlo, potessi arrivare fino al suo trono! Esporrei davanti a lui la mia causa e avrei piene le labbra di ragioni» (23,3-4). Il sentire di un Giobbe paziente e docile e di un Giobbe ribelle e inquieto di fronte al mistero è insito in ogni cuore umano.

Il cambiamento di tono nell’evolversi dei testi -attribuibile ad autore e tempo diverso- vuol manifestare un modo nuovo di affrontare il problema della sofferenza. Essa è vista non più come una prova, bensì come una esperienza che permette di entrare nel mistero di Dio. Il Giobbe iniziale è un’immagine ideale, edulcorata; il Giobbe che segue è l’uomo della realtà: è in preda all’avversario, il satan; è l’uomo gettato nel mondo, al di là della siepe protetta, in una realtà complessa; è l’uomo capace di progettare la vita, non l’uomo della devozione (cfr M. Nobile, Teologia dell’Antico Testamento, LOGOS 8/1, LDC, Leumann TO 1998, p. 158).

L’audacia critica di quest’uomo è mossa dal voler raggiungere il Signore ad ogni costo, la sua protesta è finalizzata alla conoscenza, animata dal desiderio di verità che non è pretesto per coprire le proprie mancanze. È una situazione concreta quella che Giobbe vive, una crisi interiore. Di qui le contraddizioni, le ostinazioni, la lotta esacerbata. Non siamo nel campo dei concetti, ma della vita, dell’esperienza umana. La drammaticità sta nella solitudine interiore, in quel dolore che nasce dalla fede, nella reale assenza di Dio che è il più acuto di tutti i tormenti. Giobbe arriva allo scontro frontale con il suo Dio finché vede crollare tutti gli schemi teologici che nutrivano la sua sicurezza e la sua fede. I suoi amici invece, affermando a priori la sua colpevolezza, si chiudono alle varie dimensioni teologiche del mistero cui rimanda la sua sofferenza, perché con il loro bagaglio di evidenze vogliono salvare l’orizzonte mentale nel quale sono abituati a vivere.

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