Ricominciare

Nella silente ricerca del volto di Dio, nel vigile e consapevole incedere verso una vita pienamente conformata a Lui, nel sostare adorante dentro l’anonima quotidianità in cui si snoda la nostra esistenza- come ginnastica del desiderio ( S Agostino), come corsa per conquistare il premio, come buona battaglia da combattere … (S Paolo)- evolve la nostra identità monastica, il nostro essere di Cristo, la nostra esperienza di Vangelo. E quando si fa sul serio…. accade che, come scintilla di fuoco, ogni “iota” del Verbo tocca e “ritocca” la nostra vita, la plasma, la brucia, la incendia … la spinge a conversione. Una sfaccettatura di questa chiamata alla trasformazione del cuore è per esempio l’esperienza del perdono. Perdonare: una vera conversione da attuare in noi stesse; far riposare lo spirito tra le pieghe di quelle ferite che altri, più o meno volutamente, ci hanno causato.. Far riposare non per passività o vittimismo, non per morbosa debolezza o fragilità psichica ma come scelta libera e liberante di proporsi nel bene, come autocoscienza di noi stesse, dei nostri limiti,  o – usando le parole di J Vanier – come rivelazione delle tenebre che sono in noi,  ma anche come espressione del nostro cammino di sequela contemplativa, del nostro lasciarci interpellare dallo stile di Dio nel guardare e giudicare la realtà, le cose, l’altro.  Tra i detti dei padri del deserto uno così recita: “Preòccupati di imparare a sbagliare, a perdere, a riconoscere la tua incompiutezza!” Una citazione autorevole questa, per raccontare- con forza- la nostra esperienza di Dio che entra nel cuore proprio attraverso le ferite aperte della nostra umanità e ci incontra proprio nei nostri smarrimenti. Cammin facendo comprendiamo fattivamente come non sia l’orgogliosa pretesa della nostra perfezione mascherata magari da ascesi, osservanza, regolarità  a  fondare la nostra vita in Cristo ma l’umile e continuo riconoscimento della nostra fragilità e il perdono che parte dalla conversione del nostro cuore quando riceviamo un torto. Non schiave del passato ma coinvolte in un reale e concreto spostamento di noi stesse, dal nostro io autocentrato al trapianto del cuore di Cristo in noi. “Ogni comunità che riesca a costruire se stessa sulla debolezza benedetta dal Signore e sul perdono reciproco invece che sulla competizione e sulle prove di forza, dà un aiuto importante all’insieme della Chiesa”. Se una comunità non sa dare spazio al debole, difficilmente si può dire che è una comunità evangelica” (Dom J. Dupont). Certo occorrono tempo e fatica per il dono del perdono! E ci si accorge che più si impara a perdonare più si “ricorda” il dolore delle ferite con un carico di senso che spinge ad esercitare l’amore, a riportare l’altra nel nostro orizzonte, a porre l’accento sulla responsabilità di una “sororità” rinnovata, generatrice di gioia e profonda libertà! Si c’è molta gioia nel perdonare…..

 

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