13 Feb Vocazione: la felicità interiore
Nada… Nulla per possedere tutto…. La nostra vocazione sarà forse quella di essere sospesi tra il cielo e la terra senza cercare supporto in altro luogo? Sì, è questo un modo abbastanza drammatico per dire che alla fine se la nostra fede, la nostra confidenza e fiducia in Dio sono l’unico supporto è perché Lui ci condurrà sicuramente al di là di tutte le nostre attese nella terra che desideriamo abitare: la felicità interiore. Possiamo con semplicità affermare che la nostra vocazione, la nostra chiamata è di esercitare un ministero di liberazione, siamo chiamati a liberarci da tutti i modi che ci rendono schiavi di noi stessi e ci consegnano sempre agli idoli?
Il tendere carmelitano è una sfida a non attaccarsi a niente, a non mettere niente al centro della propria vita altro che il Mistero che eleva la nostra vita. In questa purezza del cuore, una volta raggiunto lo spirito di Dio, noi siamo capaci di amare meglio gli altri e vivere saggiamente. La sfida carmelitana è di cooperare con l’amore di Dio, spesso oscuro, che sta dentro di noi. Questo continuo ascolto della venuta di Dio è il compito profetico per il Carmelo. Quale Dio dobbiamo seguire? Gli dèi delle nostre passioni? Gli dèi delle ideologie e delle pur limitate teologie? Gli dèi dei sistemi oppressivi economici e politici? Gli dèi di tutti gli “ismo” del nostro tempo? Oppure il nostro Dio, il Dio che ci trasforma, ci libera, ci eleva?
Gli idoli del nostro tempo non sono altro che amori e possessi personali, ma specialmente sono gli idoli di potere, del prestigio, del controllo, e il dominio con cui si lascia gran parte del genere umano fuori del banchetto della vita. È povero chi ripone la sua speranza in Dio, è ricco chi pone tutta la sua fede nel denaro, nel potere, nel successo, nel buon nome… Oggi le iniquità degli idoli di “ismo” portano la maggioranza del mondo in una condizione di emarginazione. E si può chiamare felicità interiore tale emarginazione? Non andiamo a pensare ai grandi, ai lontani: in ogni uomo può abitare questa iniquità che emargina dal percepirsi in comunione con gli altri, abita nella porta accanto che non è motivo per noi di profezia… Dio viene ogni giorno presso la nostra porta, di continuo, ma noi restiamo agli orli della nostra esistenza e spesso lo sguardo non si posa sul registro del volto dei fratelli e delle sorelle e allora non riusciamo a cogliere la sua presenza attraverso chi ci vive accanto, ma se prestiamo l’orecchio un varco si apre, nell’ascolto e nell’esercizio dell’attenzione all’altro qualcosa in noi si muove.
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