l’azione liturgica

L’azione liturgica…
Nella conversazione precedente dicevamo che nella vita monastica ci sono alcuni elementi insostituibili per la crescita spirituale della persona, tra questi : la liturgia.
Cominciamo col dire che l’azione liturgica è fonte prima di crescita personale e comunitaria, non solo in quanto in essa celebriamo il mistero di Cristo ma anche perché, in tutta la sua sovrabbondanza, si offre come specchio e riflesso del mistero dell’uomo. L’incontro continuato e ripetuto con i salmi, trasforma lentamente il tempo in una prolungata e incessante preghiera accordata al ritmo di ogni esperienza umana e innestata profondamente e apostolicamente nel cuore di Cristo e della Chiesa. I salmi evolvono in preghiera ogni sentimento umano, ci aiutano ad assumere con realismo ogni fatica, ogni attraversamento, ogni virata, ogni deviazione di rotta…. ci insegnano a farci carico delle fatiche che attraversano la vita di ogni persona vicina o lontana a noi. La ricchezza della Parola che la liturgia presenta, inoltre è un aiuto per entrare in contatto autentico noi stesse e per avere una migliore e per certi aspetti anche più profonda, conoscenza della nostra realtà personale perché ci situa in una relazione radicale con la condizione di finitudine della nostra umanità. Ma c’è anche un aspetto di prossimità che la liturgia armonizza, e sviluppa: è il tessuto di relazione continua, non solo con Dio, ma anche tra noi compagne di coro che cantiamo una al fianco dell’altra, compagne con le quali cerchiamo di sintonizzare la nostra voce, allenando pazientemente la volontà per sopportare con semplicità stonature, sbagli, ritardi, accelerazioni …. Questa “ascesi del coro” ci fa entrare in una relazione molto diretta, intensa, forte con tutte le sorelle della comunità; anticipa sul piano della convivenza: tolleranza, comprensione, misericordia e al tempo stesso, rispetto e corresponsabilità; provoca l’integrazione indispensabile nella vita comunitaria. Tutto questo processo di maturazione umana e spirituale prende avvio dalla iniziazione seria alla comprensione del senso liturgico della preghiera contemplativa …. È celebrando come monache che impariamo ad essere monache. Il carisma monastico non è un’astrazione: lo incarniamo e concretizziamo con azioni significative vissute consapevolmente come accesso e incontro del mistero di Dio e dell’uomo.

Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo (Sal 32, Disc. 1, 7-8; CCL 38, 253-254)
«Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo!» (Sal 32, 2.3). Spogliatevi di ciò che è vecchio ormai; avete conosciuto il nuovo canto. Un uomo nuovo, un testamento nuovo, un canto nuovo. Il nuovo canto non si addice ad uomini vecchi. Non lo imparano se non gli uomini nuovi, uomini rinnovati, per mezzo della grazia, da ciò che era vecchio, uomini appartenenti ormai al nuovo testamento, che è il regno dei cieli. Tutto il nostro amore ad esso sospira e canta un canto nuovo. Elevi però un canto nuovo non con la lingua, ma con la vita.
Cantate a lui un canto nuovo, cantate a lui con arte (cfr. Sal 32, 3). Ciascuno si domanda come cantare a Dio. Devi cantare a lui, ma non in modo stonato. Non vuole che siano offese le sue orecchie. Cantate con arte, o fratelli. Quando, davanti a un buon intenditore di musica, ti si dice: canta in modo da piacergli; tu, privo di preparazione nell’arte musicale, vieni preso da trepidazione nel cantare, perché non vorresti dispiacere al musicista; infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore dell’arte. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con esattezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un’abilità così perfetta nel canto, da non offendere in nulla orecchie così perfette?
Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca della parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalla parole dei canti, ma, in seguito, quando l’emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in sola modulazione di note. Questo canto lo chiamiamo «giubilo».
Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d’altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non «giubilare»? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Sal 32, 3).

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