Dal cuore di Dio al cuore del Mondo

da cuore a cuore
San Paolo ci parla del cristianesimo come di un corpo, di un organismo articolato e comunicante (cf 1 Cor 12, 12-26). S.Teresa di Lisieux, nel ricercare il senso della sua vita e del suo ruolo di monaca carmelitana, meditando questo testo di S. Paolo, giunge e comprendere di voler essere nel corpo di Cristo che è la Chiesa, il cuore: l’amore che brucia per ogni essere umano. Attua questo suo compito stando in un monastero, vivendo pochi anni… diventerà patrona delle missioni. Per uno “strano” paradosso, proprio nel chiuso di un monastero, la vita viene interpellata a dilatarsi in pienezza, ad assumere quei tratti di maturità e fecondità umana e cristiana che difficilmente si riescono ad apprezzare fuori da un fare. Agli occhi dei più infatti, nella vita claustrale, l’umanità sembra essere rinnegata, svilita della sua dimensione di libertà, privata di incontri, confronti, scambi, addirittura privata della possibilità di espandersi operando il bene. Invece, proprio per quel “misterioso paradosso” di cui sopra- che ci vede impegnate nell’unica missione di ricercare costantemente, ininterrottamente, esclusivamente il Volto di Dio e stare davanti a Lui per tutti – in monastero la nostra umanità riceve, la sua grande opportunità di affermarsi e realizzarsi integralmente, assorbita come è dal bisogno di Assoluto che eleva e qualifica le più profonde aspirazioni. Non si tratta di un’alchimia legata al luogo o a certe usanze –anche se il contesto è molto importante per lo stile di vita che si conduce- si tratta, piuttosto, di un dinamismo profondo psicologico e spirituale che si attiva già varcando la soglia del monastero, quando pur intuendo in modo acerbo la portata del dono ricevuto, si decide di aderire a quest’avventura dello Spirito sapendo che, come il mercante del Vangelo, trovata la perla di valore tanto desiderata, anche noi dobbiamo vendere tutti i nostri averi per poterla acquistare (cf Mt 13.45-46)… Mettere in gioco tutta la nostra persona, iniziare seriamente un processo di spoliazione di sé, rispondere a questa chiamata alla trasformazione con l’atteggiamento positivo di riconciliazione e gratitudine verso la propria storia e di vera fiducia verso l’altro (autorità, comunità, guida spirituale). È un vero cammino di crescita umana e cristiana che porta verso una graduale liberazione interiore da autoreferenzialità, credenze, schemi e rigidismi vari, grazie al desiderio intelligente di lasciarsi ammaestrare da qualsiasi pezzetto di verità, bellezza o fatica che sboccia dentro o attorno a noi. La dimensione cenobitica della vita monastica, poi, promuove la possibilità di crescere nella capacità relazionale, di interazione profonda e feconda con la realtà oggettiva, altra e diversa rispetto al nostro io, fino a plasmarci, modellarci, formarci. Si impara ad imparare! L’umanità è qui messa nelle condizioni di interrogarsi sulle proprie paure, le proprie difese, su quanto può interferire nei rapporti interpersonali, sulle aspettative irrealistiche circa il proprio futuro o su quanto inibisce la totale consegna di sé a Dio nell’obbedienza della fede. Arriviamo in monastero con bagagli molto differenti, ma tutte abbiamo la grande opportunità di porci di fronte alle nostre inconsistenze, a precisarle, ad affrontarle con senso di responsabilità, a trovare la via verso un rapporto autentico con noi stesse, con gli altri, con Dio e la sua Parola. Ci è data la possibilità di conoscere ciò che realmente ci abita nell’intimo, ciò che filtra il nostro modo di amare, di pensare, di decidere, di scegliere, di gioie e sperare, di intimorirci o spaventarci…. E la vita ordinaria, scandita da un ritmo routinario, diviene buon terreno, se incontra la nostra disponibilità a lasciarci interpellare da essa, per imparare a modificare le nostre inconsistenze, i nostri modi di vedere le cose, di gestire le situazioni, le nostre istintive attrazioni, le repulsioni… Quando Eliseo invita Naaman a bagnarsi sette volte nel Giordano (cf 2Re 5, 1-14), non gli chiede una volta sola una cosa straordinaria, ma tante volte cose ordinarie. Questa è la nostra vita, così la nostra umanità si purifica, si rigenera, rinasce. Ciò che fa veramente maturare e rifiorire la nostra umanità è la quotidianità vissuta come luogo sacro della presenza trasformante del Signore. Il quotidiano è grazia che avvolge la vita nel suo scorrere normale, sempre lì a dirci che una Presenza amante veglia su di noi, e si prende cura di noi… Seme da Lui posto nella terra della nostra vita, seme che germoglia e cresce, prima ancora della nostra azione (cf. Mc 4,26-28). E allora, se è la Trinità che forma e trasforma, nella cornice di una vita declinata nel silenzio e nell’esercizio costante dell’umiltà e dell’obbedienza, la vigile attesa dello Sposo, si converte in possibilità di amicizia pura e vera… come direbbe Santa Teresa d’Avila: “Benché sia Dio, posso trattare con lui come con un amico” e l’incontro orante con la Parola diventa tratto assiduo, incessante, di “giorno e di notte” (come recita la nostra Regola Carmelitana), occupazione primaria, cammino indispensabile per conformarsi a Cristo. Nel fare o non fare, la nostra giornata è organizzata col solo programma di cercare Dio, di stare con Dio, di coinvolgere la vita, sempre, nell’ininterrotta preghiera del cuore. La Parola quotidiana che alimenta il cuore pensante, viene a svelarci il dono per noi preparato nell’oggi dalla provvidenza del Padre ma anche il compito che il Padre stesso ci affida oggi concretamente. Per una corroborante ricerca del Suo Volto, la visione di fede avvolge la vita cosicché la preghiera, la solitudine della cella, le infermità o sofferenze, le occupazioni, la vita fraterna … tutto può diventare grembo, luogo germinale, laboratorio in cui si vive la fede con le sue grandi sfide: scuola di, laboratorio di umanizzazione, e “autentico apostolato”: partecipazione all’azione salvifica di Cristo. …. Dal cuore di Dio al cuore del mondo!

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