cammino

…Ancora sul cammino vocazionale
Abbiamo già avuto modo di dire che la vocazione monastica carmelitana nasce come forte desiderio di offrire la vita al Signore, nel silenzio, nella solitudine e senza diaframmi di interessi mondani, che porta in sé una profonda attrattiva per la Parola, la preghiera comunitaria e personale (con spessore apostolico), che si esprime nell’esperienza corroborante del lavoro e dello studio non per fini efficientistici ma come partecipazione viva e consapevole alla missione salvifica di Cristo… e che in essa tutto questo è vissuto nell’orizzonte della stabilitas comunitaria. Questi fattori, realizzati nell’ordine della clausura così come nella sobrietà della cella, nell’essenzialità della liturgia e del quotidiano, e nella semplicità dei rapporti interpersonali, si propongono come grande opportunità di conversione, di trasformazione, di purificazione del cuore perché offrono, senza maschere né fronzoli la nuda, immediata e concreta visione della propria persona, aldilà delle etichette, più o meno, strutturate del passato. Così anche le richieste più ordinarie come zappare un orto, riordinare un ambiente, prendersi cura di una sorella anziana… mentre diventano il paradigma su cui si declina la vita secondo il vangelo, danno anche alla persona un sentimento molto forte del realismo della vita monastica, contribuiscono a farle riconoscere la piccolezza della propria persona e favoriscono una continua revisione del proprio processo di trasformazione… Abbiamo fatto questa breve considerazione per continuare la nostra riflessione sugli elementi che fondano il cammino verso l’assunzione dell’identità monastica carmelitana. Ci sembra interessante cominciare con l’evidenziare il ruolo “formativo” di ogni sorella della comunità in quanto portatrice, nell’’alveo comune, di un peculiare e unico stile di incarnazione del carisma e della vocazione monastica. Sorelle che regalano a piene mani la ricchezza della loro umanità espansa, altre capaci di intessere legami di amicizia libera e profonda… altre ancora, esempi di vera umiltà, e mansuetudine, dono di sé, osservanza e tutte, comunque, immerse nel dinamismo vivo e vitale di una continua maturazione e conversione… Il riferimento alla qualità della vita comunitaria, tuttavia, non va stigmatizzato in forma sentimentalistica… ma va valutato come elemento di integrazione, unificazione e crescita. Quello che affermiamo sui modelli, poi, non sminuisce l’importanza della “formazione formale” né tantomeno del servizio di autorità. La parola dell’autorità, infatti, come ogni suo intervento formativo, è sempre (anche quando la nostra affettività può subire scossoni) una splendida occasione per lasciarci generare in una filiazione che riflette in noi i tratti e i sentimenti del “Figlio”. L’osservazione, la correzione, la parola formativa dell’autorità può cambiare la persona, mobilitare la sua crescita e la sua trasfigurazione nella misura in cui è interiorizzata dentro un ascolto “obbediente”, un ascolto “docile” in grado di orientare il cuore non alla formale esecuzione ma all’incontro esistenziale con il Signore e con la sua volontà… Mistero di un ascolto che, per fede, passa attraverso la concretezza di un rapporto conducendo, ora dopo ora, fino all’obbedienza della croce. Formazione che è purificazione, morte dell’io, cammino deciso verso Cristo come unico io, unica vita, unico amore. Questo itinerario richiede l’accettazione della propria persona e, prima ancora, la conoscenza di sé e l’integrazione della propria realtà non solo come processo di maturazione psicologica ma come purificazione della fede. Nella vita comune monastica, inoltre ci sono alcuni elementi che connotano peculiarmente la crescita spirituale della persona, tra questi la liturgia, la celebrazione, la lectio… di cui parleremo nelle prossime condivisioni.

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