
07 Giu la vocazione di Antonio
«Dopo la morte dei genitori, Antonio rimase solo con la sorella ancora molto piccola. Aveva diciotto o venti anni, e si prendeva cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando, com’era sua abitudine, se ne andava in chiesa, raccogliendosi nella propria mente (…). Entrò in chiesa e gli accadde di ascoltare la lettura di un passo evangelico in cui ascoltò il Signore dire al ricco: “Se vuoi essere perfetto va’, vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri, e poi vieni, seguimi e avrai un tesoro nei cieli”, Antonio, come se il ricordo dei santi gli fosse presentato al pensiero per ispirazione divina, e convinto che quel passo evangelico fosse letto per lui, uscì subito dalla chiesa e donò i suoi possedimenti (…) ai concittadini, perché non molestassero più né lui né la sorella. Vendette quindi tutti gli altri beni mobili che possedeva e, ricavatone molto denaro, lo distribuì ai poveri. Conservò tuttavia un po’ di denaro per la sorella. Entrato di nuovo in chiesa, non appena sentì il Signore che diceva nel Vangelo: “Non preoccupatevi del domani”, subito uscì e distribuì ai poveri il denaro che aveva conservato. Affidò la sorella a delle vergini fedeli, perché fosse allevata nella verginità, ed egli stesso coltivò l’ascesi fuori dalla sua casa, vivendo severamente (…). C’era in quell’epoca in una città vicina un vecchio che sin dalIa giovinezza conduceva una vita solitaria, tutto dedito all’ascesi cristiana. Antonio lo vide e prese ad emularlo nel bene» (Atanasio, Vita Antonii, 2-3).
Padre dei monaci, Antonio il Grande è ritenuto tale dalla tradizione. La sua storia ben esprime quanto la vocazione sia una risposta a Dio che chiama e attrae a sé la persona. Solo mosso dallo Spirito Santo Antonio poté cogliere l’invito a non temere e a lasciare tutto per il suo Signore. La sua chiamata supponeva l’esigenza di una radicalità profonda, scevra da ogni possesso. Anche oggi la vita monastica aderendo con forza alle richieste del Vangelo interpella coinvolgendo la persona verso un “rinnegamento” totale che si traduce nella rinuncia alla propria volontà, a tutto ciò che può essere motivo di orgoglio, “vanto” e “considerazione”, ai possedimenti materiali quali beni e agli affetti.
La vita monastica si presenta come un fluire nella consapevolezza di essere servi inutili, senza ambizioni, servi che trovano la loro ragione di esistere solo nello stare con il Signore. I monaci in questo dimorare nascosti con Lui trovano la più profonda gioia. Il Dono di sé a Dio per ogni fratello e sorella fa superare ogni attenzione seppur minima rivolta alla personale “realizzazione” o “conservazione” della propria personalità, dei propri “pensiero” per vivere quell’atteggiamento che libera e non pone resistenze allo Spirito, che orienta verso la “statura stessa di Cristo in noi”che cresce nel giardino del Silenzio. Silenzio pieno, vissuto come spazio intenso di maturazione, accolto come respiro di un’interiorità conquistata anche al caro prezzo del dolore. Non parliamo qui di un silenzio come semplice vuoto di parole e di una solitudine fredda, priva di relazioni. La vita monastica è ricca di scambi, di incontri, di condivisioni, – anche se ovviamente vogliamo sempre custodire quel clima di raccoglimento che consenta a tutte di riconoscersi innestate in una Presenza- tuttavia silenzio, parola, vita solitaria in cella o condivisa in comunità… le insenature della nostra vita di contemplative, si evolvono quando, proprio nelle trafitture della nostra carne, scopriamo che l’unico appoggio, l’unica consolazione, l’unica forza, l’unica gioia è il Signore Gesù. Allora il silenzio si fa essenza della nostra esistenza, la solitudine si riempie di misericordia ricevuta, cresce l’autocoscienza della nostra verità, e la vita interiore si amplifica grazie a quella fatica, quel dolore, quel vuoto, assunti nella magnanimità del tempo di Dio e nella speranza che dipinge di eterno la nostra fragile temporalità.
Questa solitudine, questo silenzio sono nuovi, non hanno legami con forme vane di orgoglio, o con certi culti dell’apparenza che spingono verso rigide chiusure, isolamento difensivo o rifiuto. Questa solitudine nasce dall’acquisita e maturata consapevolezza che ogni cosa, accolta con sguardo di fede… con cuore contemplativo – «vedere e amare nel cuore di Cristo» (Geltrude di Helfta) – ci educa ad una coscienza rinnovata del nostro esistere, può stimolare il nostro processo continuo e mai finito, di conversione, di unificazione, di unione con Lui, ci fa imparare ad amare di più. Appare più chiaro, allora, come nella nostra vita monastica, per esempio, la cella diventi una “terra sacra”, luogo del nostro combattimento d’amore con Dio, spazio nel quale la perseveranza, anche faticosa e monotona, insegna a morire al nostro io al nostro egoismo, al peccato e ci accompagna alla “conoscenza e all’incontro” con il sacrificio della croce offerto al Padre con amore per tutti. In questo deserto, liberamente custodito da qualsiasi rumore interno o esterno, lo spirito è tutto teso ad allontanare ogni divagazione della mente per non lasciarsi trascinare dai ricordi del passato né tanto meno dalle ansie per il futuro e si allena per imparare a “stare nel presente, ad una Presenza”. Tutto ciò richiede una disciplina non sempre facile soprattutto agli inizi. Ma già dal nostro stesso silenzio esteriore, osservato fedelmente e amorosamente, nasce qualcosa in noi che ci attrae e ci trascina verso un silenzio intimo, più profondo, più grande, più pieno. Lo dice bene Isacco di Ninive:” Che Dio ti faccia provare cosa nasce dal silenzio. Se ti metti per questa strada, non puoi immaginare che gran luce sorgerà un giorno in te. Dopo un certo tempo, questa pratica suscita nell’animo una tale dolcezza, che costringe lo stesso corpo a rimanete in silenzio”. Il cammino paziente, perseverante, confidente dentro il solco del silenzio e della solitudine, conduce progressivamente verso quella unificazione interiore che ci immette nella comunione con Dio e con le sorelle, ci aiuta a ricondurre tutti i nostri pensieri all’unico Pensiero, ci insegna ad amare di un solo Amore tutto ciò che ci è dato di amare e a tendere al fine unico dell’unione con Dio…Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza. (Is 30, 15).
“Entrare al Carmelo è stata la decisione più ardua della mia vita… Lasciare un solco già ben tracciato, pieno di fertili germogli e riconoscere l’appello di Dio a seguirlo implicando tutta la mia persona nella normalissima ordinarietà della vita di clausura non è stato uno scherzo… E il lento, profondo, intenso lavoro di trasformazione, imbevuto dal desiderio di docilità e abbandono, trova proprio nella solitudine e nel silenzio gli spazi privilegiati per tradurre in lode esistenziale la mia libertà, il mio pensiero, la mia determinazione, la mia vita. E più inciampo nella mia e altrui fatica, più cresce il desiderio di Dio e la ricerca del Suo Volto . È un’esperienza di rigenerazione inimmaginabile, che non mi aspettavo, che mi smonta e stravolge ma che mi orienta, sempre più decisamente, a fissarmi in uno stato di offerta perché il suo Volto arrivi ad essere esperienza di felicità per tutti. Non ho altro desiderio né altra gioia che impiantarmi tacitamente in questa silente fecondità.” (una carmelitana)
NINA STARO
Pubblicato alle 13:38h, 07 GiugnoChe bello l’entusiasmo con cui si vive il silenzio claustrale! Per noi che viviamo in un mondo in cui predomina in modo violento il chiasso, il rumore fragoroso e assordante, diventa tanto difficile trovare e apprezzare il silenzio!
Molto eloquente e profonda l’espressione con la quale la Carmelitana chiude la sua riflessione: il vivo desiderio e la inesprimibile gioia che si prova
nel momento in cui ci si immerge nel “Silenzio fecondo” che lascia spazio solo alla Parola di Dio!
Grazie per la condivisione di questa celestiale esperienza!
"Celeste" Marie Noelle
Pubblicato alle 18:51h, 17 OttobreSilente fecondità..un ricevere tutto alla presenza di Gesù..diventare carta carbone per uno Spirito che ti Soffia nell’anima..Si ..sempre soli “servi inutili” . .in una totale profonda gioia di ESSERE…ma ESSERE IMMERSA nel suo Amore..Sia fatta la tua volontà Signore su di me. Maranatha..Tu che ben conosci il nome mio…pronuncialo…………Che io possa solo ardere e bruciarmi al tuo Amore..