monastero carmelitane

Vocazione al Carmelo

 STORIA DI UNA VOCAZIONE

novizie carmelitane

Dieci anni fa ancora mi confondevo tra coloro che entrando in chiesa venivano raggiunti  dalla salmodia del coro delle monache. Anch’io amavo sostare tra i banchi di quel santuario di campagna nella maremma. E curiosamente ripenso alla mia espressione mentre lo sguardo si posava sul loro sorriso, su quelle luci e ombre che catturavano in me un certo interesse Sapevo che la vita monastica era circondata da un alone di fascino ma non è questo ciò che attrae. Entrando in monastero conoscevo il richiamo che è dentro e non sono le letture oranti della Parola che fanno ardere il cuore, le melodie serafiche del gregoriano che catturano l’ animo o il profumo d’incenso che sale come preghiera vespertina ma è Qualcuno che ti ha amata per primo e al quale nonostante tutto appartieni.

Trascorsi i primi mesi, anni, il tempo sgrana davanti agli occhi i suoi giorni e inizi ad avere appena una certa consapevolezza di quale sia la condizione umana per avere false aspettative sulla vita in un monastero di clausura. Abiti il limite del disincanto e intuisci che l’unica spiritualità che può corrisponderti è quella più spicciola, del quotidiano. Apparentemente non c’è nulla di più squallido di una vita tra quattro mura. Che attrazione può esserci per dei salmi cantati e una Parola ripetuta?. Se non fosse per Qualcuno che vivifica questa vita certamente la nostra storia sarebbe banale come appare alla maggior parte degli uomini. Eppure Dio parla attraverso un piccolo frammento di esistenza, un granello appena e ci consente di arrestare la corsa e di sperimentare che ci troviamo nella salita del monte Carmelo, di fronte a un mistero profondo che conosce la  fatica del passo, l’asprezza della lotta, la monotonia dell’abitudine.Varcata la soglia del monastero, da subito compresi che la vita contemplativa è un fatto di cuore. é il cuore che parla al cuore. Lo avverti. Finche nella tua esistenza non vivi tutte le pagine della scrittura. é il desiderio che traccia i sentieri per i nostri passi, quel desiderio che muove verso la bellezza dell’essere.

Chi non ha mai sperimentato la forza dell’andare dietro quel qualcosa che arde e spinge? L’attrazione è già appartenenza, perché il desiderio mette le ali a tutto l’essere e spinge verso la salita del monte Carmelo, verso la vetta  della contemplazione dove l’aria pura si respira a fatica ma dove non è possibile non esclamare con Pietro “facciamo tre tende!” Eppure sembra spaventare un Dio che “sussurra” L’amore non conosce spettacoli, ma intimo ritrovarsi nell’abbraccio della persona amata. Un soffio leggero, impercettibile, capace di un narrare a bassa voce, un mormorio che evoca parole di antica memoria e lascia pregustare un segreto di Vita. Ecco il passo di Dio. Volgiamo lo sguardo, tutte le volte che un sottile bisbigliare attira la nostra attenzione. Posiamo su di lui l’attenzione, quando pensiamo di conoscere e ci accorgiamo che sappiamo poco. Sostiamo, quando il cielo che ci sovrasta ci offre la luce delle stelle e la terra che calpestiamo ci dona tesori d’incanto orientale, i grani della vita che ci è affidata come mirra e come incenso da gettare nel braciere dell’Amore! Alziamoci, e rendiamo grazie di ciò che siamo, perché nel nostro essere donne è scritto il Verbo. Quando sentiremo Qualcuno che ci accarezza il volto, potremo coprirci con il mantello e fermarci fuori della caverna dove dimoriamo, come il nostro padre Elia profeta. Allora la Sua voce, come onda mite e riverberante richiamo, vento leggero, ci condurrà lontano per posarci sulle sponde di quella fessura che schiude all’incontro, sul monte, tra le fenditure della rocca, ci porrà al riparo della sua dimora, al riparo dell’Altissimo.

Con il tempo ho scoperto che la spiritualità carmelitana ha una dimensione spiccatamente contemplativa e in questo ha una sua “radicalità”, nudità. Dio solo, l’unico necessario,non è possibile vivere al Carmelo e non entrare in un processo di trasformazione che assorbe l’intera esistenza, non sentirsi coinvolte completamente da Cristo, non si rimarrebbe un giorno!! La monaca carmelitana è colei che vive presente a se stessa e alle sorelle con cui è un tutt’uno la fraternità o meglio sororità è intensissima quanto la contemplazione. Io sorridevo all’inizio quando sentivo dire questo dalla mia maestra, poi ho compreso quanto la dimensione fraterna fosse espressione della dimensione escatologica dell’amore oltre al compimento delle parole del Signore “riconosceranno che siete miei discepoli da come vi amerete gli uni gli altri”.La nostra sorella anziana ama spesso ripeterci “La vera carmelitana è la contemplativa per eccellenza!” Una donna matura che sa misurarsi nella lunga e paziente attesa, colei che esprime il tutto che è in ogni frammento della sua vita, colei che non ha più paura di sentirsi vulnerabile, perché sa che le ferite della sua umanità possono trasformarsi in feritoie attraverso le quali la vita giunge nel fluire del tempo, una vita che, potendo realizzare finalmente il suo fine, canta all’amore con il suo «cuore piagato» avvolto in una «fiamma che consuma e non dà pena» e pur di incontrarlo definitivamente è disposta a «rompere la tela». La sofferenza non è più un peso del disordine, ma un peso ordinato, il dolce peso del limite, protetto dalla «deliziosa piaga» e sempre aperto al «dolce incontro»: «L’Amato è le montagne, le valli solitarie e ricche d’ombra… è come notte calma, molto vicina al sorger dell’aurora, musica silenziosa, solitudine sonora… Chi potrà sanarmi questo mio cuor piagato?… è fiamma che consuma e non dà pena! O Amato, al dolce incontro rompi la tela». Come amava ripetere san Giovanni della Croce.

 

testimonianza

 

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