Solitudine

Solitudine: soglia di un cuore abitato
Le nostre storie assomigliano a quelle di tante donne… Ci portiamo dentro i nostri vissuti, la nostra storia familiare, l’esperienza scolare, le amicizia, l’università, il lavoro, i sogni, i progetti, i fallimenti, le delusioni, le fatiche … vite “normali”, insomma! Soltanto che, dentro a tutto questo, ad un certo punto il cuore impazzisce per un desiderio che in nessun modo trova posa e l’esigenza di pienezza si fa forte al punto da sbiadire ogni altra cromatura che la vita possa offrire. Il cuore si fa luogo di un incontro decisivo! Il percorso di ricerca ci fa approdare al Carmelo e tutte, in modo unico e imprevedibile, constatiamo la mano sapiente e paziente di Dio che guida e conduce ogni passo. Inizia una vita consacrata alla lode di Dio nella concordia di cuori impegnati a vivere la carità. Il respiro della preghiera fa da ordito alle nostre giornate disegnando una trama di lode e intercessione, solitudine e incontro, silenzio, condivisione, lavoro, fraternità. Matura così la nostra risposta d’amore, e continua la ricerca del suo volto… In questo movimento interiore impariamo a ricalcare le orme di Gesù nell’esperienza dell’offerta di sé al Padre cercando di mai smettere di portare in Lui, a Dio, con senso di responsabilità, i problemi dei nostri fratelli e i dolori del mondo. E poi lavoriamo, come si fa in ogni casa… Ma eccoci arrivate al punto: non è possibile edificare un’identità monastica senza combattimento interiore, senza fatica, senza un continuo discernimento, senza dover fare i conti con le tante pulsioni egocentriche e i molti idoli che ci alienano e contraddicono i nostri rapporti con noi stessi, con gli altri, con le cose, con Dio. Non è possibile rendere il cuore mónos cioè solo, unificato, senza affrontare con coraggio e pazienza le fasi misteriose e dolorose dell’educazione interiore. Per dirla con San Giovanni della Croce, bisogna entrare nella “notte”. Un duro ed esigente impegno formativo che orienta verso la liberazione da attaccamenti disordinati, catturanti, possessivi; il lento affrancarsi dalle false certezze e dai falsi assoluti della propria razionalità affidandosi liberamente e totalmente a Dio. Farsi nulla per Dio per essere tutto in Lui. Giovanni della Croce parla di rinunce, di lasciare tutto, di nulla, di salita, di notte oscura, tutta una terminologia che caratterizza la vita spirituale, secondo lui, come un lavoro di auto correzione e autocontrollo nelle proprie azioni e decisioni, un impegno serio, una fatica dura, un’ascesi costosa, graduale e continua… che non si può realizzare ipso facto. Egli afferma che, se l’anima vuole il Tutto (Dio), deve impegnarsi a lasciare tutto e a voler essere niente: “Per giungere dove non sei, devi passare per dove non sei. Per giungere a possedere tutto, non volere possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non volere che essere niente”. Naturalmente per il santo carmelitano la parola più importante in questo discorso spirituale non è rinuncia ma amore. Per lui non si tratta tanto di lasciare o rinunciare a qualcosa ma di amare Qualcuno. Amore è la parola decisiva: amore di Dio per noi, amore della creatura per Dio. Ad una monaca che gli aveva scritto accennando alle difficoltà che egli aveva sofferto rispose: “Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore”. La vita spirituale si sviluppa – allora- come un lento, progressivo, impegnativo ma affidato cammino di trasformazione di tutta la persona nell’unità della sua coscienza, della sua intelligenza, della sua libertà. È la via della purificazione del cuore, dell’interiorità, dell’intimità, della capacità di pensiero, della memoria, delle scelte, dei progetti, della fede. È la via nella quale si apprende la capacità generativa di stare da sole. Per questo nella nostra vita ha un ruolo fondamentale la cella. Nella solitudine della cella, infatti, impariamo ad abitare con noi stesse, cerchiamo Dio da sole, ci impegniamo a lottare contro le tentazioni, ci addestriamo alla comunione… La cella diventa luogo dell’incontro con Dio, il luogo del cuore! Eppure ci capita di domandarci: cosa ci sto a fare qui? E poi, non parliamo dei giorni ruvidi e spigolosi nei quali sperimentiamo la fatica di meditare o il rifiuto di pensare o la difficoltà di pregare …o quando Il tempo in essa trascorso ci sembra vuoto, quasi sprecato mentre mille voci interiori ci interpellerebbero altrove. La cella è lo spazio in cui impattiamo la nostra verità, dove affiorano limiti, contraddizioni, fragilità, dove il nostro peccato ci sta sempre dinnanzi. È luogo di prova ma anche il luogo dove il cuore si frantuma, si umilia, diviene contrito. È il luogo dell’incontro… «Tu, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo che è nel segreto» (Mt 6,6). Ma anche luogo di fatica, del vuoto, del silenzio di Dio. La cella, il silenzio, gli scambi accorti e contenuti, il monastero in sé sono grandi mezzi che possono aiutare a liberare il cuore dalle scorie che deturpano vista e udito interiore, e predispongono all’azione di Dio. Sì, talvolta la lotta, il pianto, la fatica della solitudine s’irrigidiscono in tensioni e paure che fanno sembrare la vita perennemente “minacciata” ma quando queste realtà si legano alla ricerca del Tutto, esse ci trasfigurano. Quanto apparentemente sembra bloccare la vita, diviene la vera via d’uscita, la principale. Dio è in grado di riafferrarci ad ogni istante.

Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe,
che ti ha plasmato, o Israele:
«Non temere, perché io ti ho riscattato,
ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.
2Se dovrai attraversare le acque, sarò con te,
i fiumi non ti sommergeranno;
se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai,
la fiamma non ti potrà bruciare,
3poiché io sono il Signore, tuo Dio,
il Santo d’Israele, il tuo salvatore.
Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto,
l’Etiopia e Seba al tuo posto.
4Perché tu sei prezioso ai miei occhi,
perché sei degno di stima e io ti amo,
do uomini al tuo posto
e nazioni in cambio della tua vita.
5Non temere, perché io sono con te;
dall’oriente farò venire la tua stirpe,
dall’occidente io ti radunerò.
6Dirò al settentrione: «Restituisci»,
e al mezzogiorno: «Non trattenere;
fa’ tornare i miei figli da lontano
e le mie figlie dall’estremità della terra,
7quelli che portano il mio nome
e che per la mia gloria ho creato
e plasmato e anche formato». (Is 43, 1-7)

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1 Comment
  • sr Katia
    Pubblicato alle 23:44h, 26 Agosto Rispondi

    Sono anch’io una suora (Figlia dell’Oratorio) e conosco la fatica della solitudine, della lotta contro la quotidiana tentazione, del limite ma conosco pure la gioia di aver ricevuto una vocazione tanto grande! Sentirsi amati in questo modo non ha prezzo! Ma non tutti possono capirlo.
    Ringrazio con voi il Signore delle grazie che sempre ci concede e della missione grande dell’amore a cui ci ha chiamate, ognuno nel proprio istituto, ognuno nel proprio paese, ognuno con i propri limiti e doni!
    Ricordiamoci a vicenda perchè la luce della Grazia splenda sempre nei nostri occhi, nelle nostre azioni, nel nostro/vostro nascondimento!
    Dio vi benedica e vi sostenga, affinchè voi possiamo sostenere noi!

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