Quaresima

Diverse lettrici ci hanno chiesto di condividere qualche pensiero sugli aspetti penitenziali della vita monastica.

Ci sembra propizio il tempo di quaresima per proporre alcune riflessioni che aiutino ad entrare nella dimensione ascetica della nostra vita in piena aderenza ai passi che la Chiesa, e in essa gli ordini monastici, hanno- fino ad oggi- fatto al riguardo ma soprattutto in una sintonia sempre più consapevole con l’autenticità del messaggio evangelico che- in ogni epoca e latitudine- non smarrisce la liberante ed esauriente risorsa dell’invito ad adorare il Padre in Spirito e verità.

Come sempre le nostre condivisioni hanno un respiro esperienziale, partono alla concretezza della vita quotidiana nella quale ci impegniamo a meditare e vivere la Parola nella ricerca assidua del Suo Volto.

Dalla vita di tutti i giorni partiamo, pertanto, per recuperare il senso di una religiosità autentica, vissuta con il coraggio delle nostre fragilità e potenziata dalla consapevolezza che non sono le pratiche a rendere il cuore puro ma la tensione interiore che trascende la formalità degli atti e li supera proiettandoli nell’orizzonte della comunione e dell’amore.

Una piccola premessa.

«Ascesi», dal greco askein, «esercitare», «praticare», indica anzitutto l’applicazione metodica, l’esercizio ripetuto, lo sforzo per acquisire un’abilità e una competenza specifica. Stando alla sua etimologia l’ascesi è un’esigenza umana, un costante allenamento sui no per la scelta consapevole dei si.

Silenzio, solitudine, clausura, come anche lavoro, preghiera, vita fraterna, hanno dei risvolti di rinuncia, richiedono dei no ma sono orientati all’acquisizione di una postura interiore conforme a Cristo “SI” del Padre all’umanità.

Ma l’esercizio non contraddice l’autenticità. Tuttavia si può correre il rischio, e talvolta capita ancora di imbattersi in tale visione, che l’esercizio venga confuso col fine che si vuole raggiungere, altre volte ancora non ci si accorge che dietro alla ricerca meticolosa di forme di rigorosa austerità, virgolettata da citazioni bibliche o note documentali, si nasconde un certo desiderio di emergere, di farsi vedere, di affermazione.

Quando il nostro digiuno esprime la nostra fame di considerazione o la richiesta del silenzio è vissuta come alibi più o meno consapevole per diffondere pensieri e giudizi negativi, o ancora la preoccupazione di non infrangere il nascondimento dalla clausura diventa un pretesto per cercare consensi uscendo sprovvedutamente dalla cella del cuore e rimanendo invischiati nella dispersione di pensieri scontenti e polemizzanti…. Quando accade di non riuscire a trovare nell’impegno dell’altra la bellezza del dono gratuito e del servizio disinteressato …. è difficile recuperare in ogni forma di ascesi, in ogni tratto penitenziale, in ogni azione esteriore di raccoglimento o penitenza, l’apertura ad un cammino di conversione, di purificazione, di cambiamento… un mezzo ordinato all’unico fine da conseguire: la carità.

Invece quando nelle fatiche quotidiane che la nostra natura fragile ci fa constatare, sperimentiamo la forza liberante di un amore sempre più affinato e purificato, il coraggio rinnovato di relazioni intelligenti e sempre più rispettose, il desiderio e l’impegno di parole e gesti che edificano, allora  ogni forma di ascesi supera la ricerca del perfezionamento dell’ «io», e volgendosi all’ educazione dell’ «io» , promuove libertà interiore, comunione …. carità.

Il rigore e la forza di quanto ci aiuta a separarci dal mondo è per noi sprone continuo a non lasciarci invischiare il cuore da falsi idoli e a non dis-trarci dal Vultum Dei quaerere ma ci impegniamo perché non divenga appannaggio spirituale che offusca al cuore la verità del Vangelo, quella verità che trova solo nella carità il  suo pieno compimento.

 

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