leggendo insieme la Passione del Signore

Rilettura dei Racconti della Passione secondo Marco
Mentre scribi e sacerdoti sono intenti, a due giorni dalla Pasqua del Signore, ad escogitare la loro trappola letale, Gesù siede a mensa, a Betania, presso uno dei suoi miracolati e forse solo costui e una donna lo riconoscono e lo onorano, mentre dagli altri commensali si sprigiona acrimonia e sdegno: l’avarizia o l’invidia, la gelosia si ammantano di solerzia per i bisognosi; ma Gesù non cede alle provocazioni, limitandosi  a prendere le difese della donna, spiegando ai livorosi che si è trattato di un gesto altrettanto caritatevole di quello dell’elemosina, un’altra opera di misericordia che non contraddice ma si affianca alla prima, quasi estrema unzione e Gesù promette che nel Vangelo si farà memoria anche di questo gesto d’amore di una donna chiacchierata, biasimato da tutti.
Nel frattempo, Giuda Iscariota, uno dei dodici, si accorda con i sommi sacerdoti per consegnare loro il Maestro ed essi lo ricompensano in denaro. Il denaro, il denaro ha già occupato due pericopi: il diavolo entra sempre attraverso questa porta.
Ed eccoci al primo giorno della festa degli Azzimi, quando si immola l’agnello, i discepoli chiedono a Gesù dove intende “celebrare” la santa cena e il Signore li invita a seguire l’uomo con la brocca d’acqua e a  domandare al suo padrone di casa dov’è la stanza già preparata e costui mostrerà loro il cenacolo del piano superiore.
Ed è l’ora della nuova ed eterna alleanza: il calice che Gesù anticipa in questa cena lo berrà, a breve, dalle mani del Padre.
Il banchetto si apre però con un discorso sinistro a proposito di un imminente tradimento e i commensali sono affranti, cominciando ciascuno  a porre domande sul proprio conto, alle quali Gesù replica confermando  che si tratta effettivamente di uno di loro, uno che intinge con Lui, un battezzato, un comunicato…perché si compiano le Scritture e prevede e commisera già la fine amara che gli toccherà.
E nonostante conosca in anticipo la sorte di ciascuno, (poiché tutti i momenti del tempo sono presenti a Dio nella loro attualità. Egli stabilì dunque il suo disegno eterno di “predestinazione” includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia.  CCC 600non respinge, non allontana, non scaccia il traditore come un demonio, anzi, è anche per lui che si dona e prosegue con la preghiera di ringraziamento e la frazione del pane e del vino, pregando singolarmente traditori e fuggiaschi, di ricevere il suo corpo e il suo sangue versato per la salvezza di tutti, il sangue del nuovo testamento, perché fosse ben scolpito nel cuore che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. (1 Pietro, 1, 18-19);
e intonato l’inno che conclude il rito della pasqua, si recano presso il Monte degli Ulivi.
Ancora una volta, Gesù, profetizza che tutti loro cadranno, uno ad uno, tutti inciamperanno,  tutti si scandalizzeranno e cita Zaccaria per il pastore percosso e le pecore disperse, ma dopo la Resurrezione, li precederà in Galilea. Pietro è già pronto a protestare che lui no, lui non cadrà, non si scandalizzerà, non potrà mai allontanarsi dal suo pastore, a costo di seguirlo fino alla morte, non potrà sbagliare strada. Similmente ciascuno dei dodici presume di sé e dovrà perciò fare presto i conti con la propria coscienza, la propria pusillanimità, le proprie miserie: un conto aperto che ciascuno di noi è costretto a fare con se stesso, nella stessa verità, quotidianamente.
Proseguono il cammino fino al campo chiamato Getsèmani e qui invita i discepoli a mettersi seduti a pregare mentre egli, presi in disparte Pietro, Giacomo e Giovanni, confida il suo turbamento e la sua agitazione, tutta la tristezza che l’ha invaso, il dolore che tutt’un tratto stritola la sua vita fino all’osso, e li prega di restargli accanto, poco discosti da lui per vegliare come pastori. Procede appena più oltre, e immerso nella sua  solitudine, gettatosi a terra, leva la sua supplica al Padre affinché passi quell’ora tremenda, lo invoca Papà, con un’intimità che nessuno dei Giudei aveva mai osato finora, scongiurando Colui che tutto può, di allontanare tanta amarezza ma subito si prepara, con mite arrendevolezza, a compiere, fino in fondo, tutta la volontà di Colui che l’ha mandato.
Torna allora dai tre e li sorprende addormentati, scuote Pietro, richiamandolo: neanche la forza di un’ora di veglia, hai tu da solo,  appena mi allontano di pochi passi, Simone? Vegliate e pregate per non cadere in tentazione, lo spirito è pronto ma la carne è malata e l’avversario si aggira intorno, come un leone, cercando chi divorare. Pregate.
Si ritira di nuovo a pregare come prima; di ritorno, li ritrova  ancora una volta  assopiti e alla terza lui stesso  li lascia dormire per il tempo rimasto: oramai è giunta l’ora, l’attesa è finita, il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani dei peccatori.
È ora di alzarsi, di andare incontro al traditore.
Ed eccolo, Giuda, attorniato da una folla armata di spade e bastoni, il segno convenuto è un bacio-abbraccio, il segno del traditore è l’affetto fraterno, solo chi ama umanamente può tradire, non l’indifferente, né chi si aggrappa- come roccia- all’amore di Dio; soltanto l’amore umano è infedele per antonomasia, se non si affida a Dio e al Suo amore fedele.
Ma Giuda non si affida, non si consegna all’amore di Dio, consegna piuttosto Dio nelle mani dei peccatori che, di lì a poco, lo inchioderanno alla croce.
Gesù sottolinea ai suoi carcerieri che non sono le spade e i bastoni, non è la loro violenza, il loro odio, la loro crudeltà a catturarlo, ma il compimento delle sacre Scritture.
In una cornice di tradimento e di abbandono, Gesù si consegna alle Scritture. Se mancasse la cornice del tradimento e dell’abbandono, non comprenderemmo che il dono di Gesù non è semplicemente un dono ma un perdono. Non comprenderemmo che la Chiesa, la comunità cristiana, è nata con in corpo anche il tradimento e che il tradimento è ciò che dà spessore al gesto di Gesù.
(Bruno Maggioni, Il racconto di Marco, Cittadella Editrice, Assisi).
Questo disegno di salvezza attraverso la messa morte del “Servo Giusto” era stato anticipatamente annunziato nelle Scritture come un mistero di redenzione universale, cioè di riscatto che libera gli uomini dalla schiavitù del peccato ( CCC 601).
Tradimento e abbandono. Tutti fuggono.
Solo un giovinetto, con indosso un lenzuolo, lo segue ancora, senza nulla che lo protegga: è inerme e nudo e quando provano a mettere le mani su di lui, si ritrovano a stringere una tenue sindone senza corpo. Forse questo giovanetto è la figura  del discepolo che resta,  impietrito e nudo di fronte alla sconcertante verità del male nell’uomo al cospetto dell’altra esorbitante verità di un amore senza limiti di Dio; o forse è simbolo di chi, alla sequela di Cristo, dovrà percorrere lo stesso tragitto lungo il calvario, di chi dovrà consegnare alle spade, alle catene e ai bastoni la sua innocenza indifesa perché nudo rientri nel seno della madre, come nudo ne uscì,  ma il perdere la vita- anche sotto i colpi dei violenti che infieriscono con ferocia disumana su un esile stelo che reclina- avrà la delicatezza di un lenzuolo scivolato di spalla, la grazia del martirio donata da Dio, nella libertà di correre nudo tra le braccia del Padre, senza vergogna.
Per ora, impauriti, tutti battono in ritirata davanti al nemico. Solo Pietro resta a guardare di nascosto, da lontano, fuori nel cortile, sperando di passare inosservato in mezzo al traffico dei servi, tentando di scaldarsi, di restare vivo in controluce, ma le tenebre avvolgono anche lui che cade, come gli era stato predetto e inequivocabilmente, reiterata l’abiura, è sorpreso in flagrante dalle prime luci del mattino, scandite dal gallo e dal pianto di un pentimento tardivo e tuttavia nemmeno stavolta respinto, ma ancora, da capo,  paternamente raccolto.
Inizia il processo giudaico, che viene descritto come una specie di farsa, in cui si cercano accuse pretestuose tra le testimonianze contraddittorie e menzognere, fino a quando il sommo sacerdote gli domanda se è Lui il Cristo, il Figlio del benedetto Innominabile e Gesù risponde in Nome di Dio citando Daniele riguardo al Figlio dell’uomo seduto alla destra dell’Onnipotente.
Il sommo sacerdote dichiara solennemente la condanna per bestemmia con il gesto procedurale dello strappo nella parte superiore della tunica. Tutti gli astanti ratificano la condanna a morte che però dev’essere eseguita dalle autorità dell’esercito romano occupante.
Il processo si sposta così davanti al procuratore romano, mosso non dall’accusa di bestemmia, stavolta, ma di sedizione di un facinoroso qualunque, autoproclamatosi re dei Giudei; sebbene il procuratore sappia  l’accusa infondata e montata, con abile impalcatura, per pura invidia da parte dei sommi sacerdoti, si sottomette alla volubilità di una folla facilmente manipolabile. Così Gesù è posto accanto a Barabba, come ribelle alla pari, anche se nella rivolta di quest’ultimo c’è scappato il morto, nel caso di Gesù, basta la sua di morte.
I giudei condannano, i suoi lo tradiscono e lo rinnegano, la folla inveisce, gli ufficiali romani ratificano, i soldati sbeffeggiano: ecco la regalità di Cristo in questo mondo alla rovescia, ecco perché gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù:
Tenendo conto della complessità storica del processo a Gesù espressa nei racconti evangelici, e qualunque possa essere stato il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all’insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste. Gesù stesso, perdonando sulla croce e Pietro sul suo esempio hanno riconosciuto “l’ignoranza” degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. (CCC 597).
La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che “ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle […] sofferenze” del divino Redentore.
Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei. ( CCC 598).
E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati. (San Francesco d’Assisi, Admonitio, 5, 3).
Tutto ciò è talmente tragico che, prostrati sotto il peso della nostra colpa, non saremmo mai più riusciti a rialzarci, se non fosse che laddove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia.
Dio stesso si è offerto come vittima, per amore dei peccatori. Nessuno, per quanto malvagio, avrebbe mai potuto togliergli la vita, se non l’avesse donata liberamente da sé.
Il segno che maggiormente identifica il giorno del Signore, non è la malvagità dell’uomo, che pure sulla Croce appare grande, né la collera di Dio, ma un amore divino senza misura.
(Bruno Maggioni, il racconto di Marco).
L’ora terza è quella della crocifissione. L’ora sesta è quella del buio. L’ora nona è quella del grido.
Ecco, la liturgia delle ore minori eseguita da Cristo, conclusa da un salmo.
Nel salmo 22 il giusto si sente abbandonato. E perciò non  invoca più di non essere abbandonato, ma chiede perché:“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Così la preghiera del giusto, più che invocazione di aiuto, esprime il desiderio di capire. La preghiera di Gesù è la domanda del perché della sofferenza innocente, della verità sconfitta, dell’amore inutile. La domanda di Gesù è la domanda dell’uomo[…]
Condividendo questa radicale domanda dell’uomo, il Figlio di Dio ha mostrato tutta la sua solidarietà con l’uomo. […]
Ma nell’esperienza di fede, anche l’angoscia più profonda può coesistere con la fiducia […]
Una fiducia così forte, così totale, da rimanere intatta, nel profondo, anche là dove tutto parla di abbandono.
(Bruno Maggioni)
La croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo mediatore tra Dio e gli uomini. Ma poiché, nella sua Persona divina incarnata, “si è unito in certo modo ad ogni uomo”, egli offre “ a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale”. Egli chiama  i suoi discepoli a prendere la loro croce  e a seguirlo, poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore, quelli stessi che ne sono i primi beneficiari. Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice.
(CCC 618).
Per questo ti preghiamo, o Signore, che hai chiesto al Padre, sulla croce di perdonare i tuoi crocifissori, di insegnarci ad amare te nei nostri fratelli, di aiutarci ad amare i nostri nemici e a pregare per coloro che ci affliggono, di comprendere che anch’essi sono solo fratelli.
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