quiete

Nella quiete e nella speranza sta la vostra forza

La vita semplice e ritirata, la ricerca continua di un luogo in disparte  e un distanziamento “materiale” dal mondo ci consente di poter vivere in profondità gli elementi specifici del carisma carmelitano: quel silenzio e quella solitudine in cui meditare giorno e notte la Parola del Signore.  E’ la preghiera a scandire il tempo della vita della monaca carmelitana, a dare forma allo spazio che abita e respiro a ogni gesto che compie. La sete di Assoluto porta a cercare  il volto di Dio in ogni frammento di vita che diventa occasione di raccoglimento per poter vivere il quotidiano in un silenzio adorante  facendo esperienza della presenza di Dio nell’ordinarietà della vita. L’esercizio della vigilanza e della custodia del cuore aiuta la semplificazione dello sguardo interiore. La Parola di Dio dimori abbondantemente sulle vostre labbra, esorta la nostra Regola prendendo da san Paolo l’invito a fare ogni cosa nel nome del Signore, anche i gesti più consueti, gli atti più ordinari. La vita della monaca carmelitana è tratteggiata da due elementi particolarmente cari alla tradizione, troviamo nella Regola 21 nella quiete e nella speranza sta la vostra forza. In modo particolare il termine quiete “quies” significa riposo e in senso stretto è da intendersi riposo spirituale particolarmente evocativo nel cammino di semplificazione interiore. L’anima si immerge in Colui che è la sua gioia facendo esperienza della divina dolcezza.

Nella quiete e nella speranza sta la vostra forza (Rg 21)

Sono le parole di una sapienza rinnovata, la quiete in quanto riposo spirituale è un elemento caratterizzante della vita della carmelitana. Ma c’è da comprendere cosa intendiamo per quiete. Certamente è il riposo promesso da Gesù a coloro che sono stanchi e oppressi, il riposo che ristora e che Lui dona a chi prende il suo giogo su di sé (cfr Mt 11,28-29) . Un riposo, una quiete spirituale a misura di persona, capace di abitare il vuoto, la fragilità, ma che non ha nulla a che fare con la svogliatezza o la sonnolenza. Non si tratta di un riposo ingannevole, ma di un lasciare a Dio il primato nell’azione sapendo che il suo giogo è leggero perché comunque lo sguardo non è appesantito dal tempo e dallo spazio. Rinchiudersi nella temporalità porta a sperimentare l’usura e la scansione delle cose che appartengono solo alla terra senza attraversarla per svelare il volto luminoso del Regno. Camminare nella quiete e nella speranza è trovare la propria preoccupazione solo nell’amore e nella vita eterna.

1 Comment
  • Pingback:conoscere la propria vocazione
    Pubblicato alle 22:02h, 16 Gennaio Rispondi

    […] così riconoscere lo stupore, la meraviglia, l’incanto, educando l’occhio nella quiete e nella speranza a scorgere la bellezza dei Suoi tratti anche nel volto sfigurato della miseria umana. Prenderemo […]

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