Nazareth

Come a Nazareth
Tra i termini utilizzati per specificare la nostra identità monastica, troviamo spesso l’aggettivo claustrale [dal tardo latino claustràlem o clàustrum (= greco klèitron), ossia serrame, barriera, chiusura, clausura]. È un’accezione con addentellati storici molto antichi, infatti, nonostante che il termine clausura sia stato adoperato dall’epoca medioevale in poi, la sua origine non è un’istituzione di quel periodo ma parte integrante della vita monastica fin dagli inizi del monachesimo. In effetti, il primo decreto riguardante la clausura delle monache – che fu promulgato solo nel 1298 da Papa Bonifacio VIII- era stato preceduto da una lunga e encomiabile esperienza di vita claustrale le cui origini e regole esistevano già nel IV secolo in Egitto e, successivamente, anche in Palestina. Facciamo questo breve accenno, per avviare una semplice condivisione sulla nostra esperienza della clausura che, con le forme proprie della tradizione carmelitana, custodisce e favorisce la fecondità di una vita spesa nel servizio della lode e dell’intercessione. Guardando al percorso storico, si può chiaramente evincere che il linguaggio della legislazione in materia, è stato strettamente correlato ai tempi ma per noi è importante sottolineare i valori spirituali che hanno dato origine e fanno ancora sussistere la clausura: aiutarci a vivere la nostra ricerca di Dio nel silenzio, nella solitudine, nella custodia della vita tesa all’unione con Dio e alla preghiera incessante. “Io stesso – parola del Signore – le farò da muro di fuoco all’intorno e sarò una gloria in mezzo ad essa (Zac 2,9). La nostra realtà separata fisicamente dal mondo e da quanto potrebbe “dis-trarre” lo spirito, colloca tutta la vita- essere e operare- nel servizio di Dio; ci aiuta a rendere le giornate e ogni nostra azione, anche la più insignificante, esperienza di donazione, di offerta. I contatti sobri e limitati con l’esterno, favoriscono il cammino di unificazione interiore, di purificazione del cuore e consentono di accrescere la comunione con Dio, tra noi e, paradossalmente, col mondo. Afferma don Divo Barsotti: “Non gli avvenimenti straordinari o le occasioni straordinarie ma l’umile vita di ogni giorno è sacramento di Dio”. I segni della clausura, come la grata, il parlatorio, la foresteria, non hanno un valore fine a se stesso ma sono, appunto dei segni esteriori che possono favorire il raccoglimento e il silenzio ma soprattutto indicano il viaggio di ciascuna verso la cella interiore, dove distacco, spoliazione, rinuncia aiutano, sempre più, la vita capace di accogliere generare amore. “…Una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,38). È una via di umiltà, di semplicità, di essenzialità… alternativa radicale ad una mentalità efficientista, orientata alla pratica, al “tutto e subito”, al tornaconto. Una via che inizia da un esodo da se stesse e dal mondo e si svolge nel silenzio, nella preghiera, nella meditazione come continua ricerca di Dio solo. Una via in cui la consacrazione al Signore assorbe tutta la vita. Una strada nella quale si affievolisce e, man mano scompare, la pretesa di vedere o valutare. È una via nascosta e, solo in questo modo, utile al mondo e alle vicende che lo travagliano. Una vita vissuta come silenzioso e schivo appartarsi…un compiere da ferme il nostro viaggio in cerca di Dio nel deserto delle nostre celle, nel silenzio del nostro monastero. È fattiva separazione dalla “mentalità corrente” per un’esistenza nel segno della solitudine, per una vita che privilegia il ritiro da presunzione e supponenza e si concretizza nello stabilirsi nell’esercizio costante della consapevolezza di una Presenza. In questa solitudine, nell’incontro con la Parola, nella preghiera personale, nel lavoro svolto nel silenzio e generalmente da sole, portiamo avanti il lavorio interiore per divenire capax Dei: spogliarci di noi stesse, farci apertura, vuoto, grembo in grado di accogliere la pienezza di Dio. «Si domandò al vecchio: come deve essere il monaco? Egli rispose: secondo me egli dev’essere come solo a Solo». La clausura: il segno, la forma di una vita in cui Gesù sia veramente il Signore, l’unica nostalgia, l’unica beatitudine . Come a Nazareth, nei lunghi anni della vita nascosta di Gesù: Vivere Dio, farsi silenti, scomparire per aprirsi e incontrarlo attraverso una preghiera perenne che non distingue più liturgia e vita e trasfigura ogni istante.

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