Un tempo… Un cammino

Il cammino quaresimale prosegue.

E ancora veniamo a te con un piccolo input per procedere.

Veniamo evocando un luogo dello Spirito e del cuore. Luogo dove Gesù viene spinto dallo Spirito ( come abbiamo ascoltato domenica scorsa nel Vangelo). Luogo della tentazione ma dove Dio parla “sul” cuore: il deserto.

Allora, ancora per te un momento e qualche parola per fare di questo tempo un tempo di discernimento.

In un documento sulla vita religiosa ( Perfectae Caritatis), per definire il compito dei contemplativi,  viene usata un’espressione  che è classica  ma che magari tu non conosci : «soli Deo vacare» per dire che la monaca contemplativa deve occuparsi solo di Dio.

Ma oggi come si può intendere questa verticalità?

Il vacare ci parla di vuoto.

Il vuoto è esperienza di assenza, di spoliazione ma anche di varco, di apertura.

La vita della monaca contemplativa dovrebbe essere come un vuoto nel quale Dio si fa spazio, si incarna e dal quale col nostro “paradossale linguaggio apofatico” Egli, Dio, raggiunge il mondo.

 La nostra vocazione contemplativa non ci immette in “infuocate visioni di cherubini che trasportano Dio sul loro carro alato, ma ci rende donne che mettono a rischio la propria vita nel deserto al di là di linguaggi e idee per incontrare Dio nella nudità del puro affidamento.

 Ed ecco il legame tra vocazione contemplativa e deserto.

Il deserto inteso come vita di ascolto, solitudine, silenzio, “separazione” – “Perciò, ecco, l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (OS 2,16) – 

Ma oggi voglio parlarti del deserto come luogo di educazione del cuore: per la mancanza di cibo e acqua, (Num 20,5) per l’incontro di bestie feroci (Dt 8,15), per l’assenza di strade, sentieri, segnaletica o punti di riferimento.  

Nel deserto il Signore ci conduce perché viviamo forti esperienze di fede e impariamo a fidarci totalmente di Lui.  In questo luogo senza vie, si trova l’unico percorso possibile per chi cerca il Signore. Il deserto è magistero di fede perché affina lo sguardo interiore e fa dell’uomo un vigilante. 

Il deserto è luogo spirituale, luogo del mistero di Dio, del combattimento con lui, della tentazione e quindi della decisione. 

 Come carmelitana mi viene spontaneo fare riferimento al profeta Elia che, dopo aver mostrato con fierezza il suo zelo per il Signore sul Monte Carmelo nei confronti dei 450 profeti di Baal, cade nello sconforto, nella depressione a causa della sete di vendetta della Regina Gezabele.

Cosa fa Elia?

Si inoltra nel deserto per una giornata di cammino, si siede sotto la ginestra e chiede a Dio di farlo morire.

In questo deserto Elia sperimenta la sua debolezza ma soprattutto smaschera la sua visione di un Dio potente e trionfante sui profeti di Baal a favore di un Dio amico dei deboli e vicino ai piccoli.

(Puoi leggere se vuoi il brano nella Bibbia 1Re, 18).

 Anche il nostro cammino diuturno in monastero evidenzia come non si venga alla solitudine del chiostro per stare tranquille, per godere di una certa pace, che si presume faciliti quella che speravamo essere una vita d’intimità con il Signore. 

S Antonio Abate diceva, parlando della cella, che è “la fornace ardente di Babilonia”, il luogo in cui si viene provati come nel fuoco, mentre il cuore si spezza e diventa “contrito”, lo spazio in cui ci si conosce per quello che si è veramente, con le proprie ricchezze, le proprie qualità, i propri desideri ma anche con i limiti, gli inferni, le debolezze che ammorbano il cuore. 

La vita in monastero,

(se ci lasciamo attirare da Dio perché ci educhi il cuore), è luogo dove si giunge per sperimentare il deserto interiore come spazio: luogo arido, stepposo, pericoloso. Come tempo: 40, anni, 40 giorni … non per sempre. Come cammino: luogo dove avanzare e non disertare o retrocedere; luogo dove, lungo il cammino, la kenosis di Dio può trafiggere la nostra ampollosità, arrivare a, sgomentarci, travolgerci, persino a scandalizzarci.

In questo spazio riservato solo a Dio la nostra esistenza impara concretamente a non prendere strade di visibilità né di potenza ma a nascondersi come per Maria,  all’ombra di un Sì quotidiano, e nella lotta tra resistenza e resa, lasciare che Lui tracci una nuova via per noi; una via senza scena, senza ribalta, senza emozioni solenni; una via che conduce umilmente a Lui rimanendo in lunga gestazione nel grembo di una fede provata.

In questa solitudine Dio entra non come idea, non come concetto ma come persona.

Viene, nei giorni più ordinari, in ogni tempo.

Nel tempo dell’entusiasmo, nel tempo della pazienza, nel tempo delle lacrime.

Quando il dubbio scuote il cuore o quando le relazioni traboccano di certezze.

Quando l’amore mette a nudo lo stato della nostra anima o quando l’ombra della sfiducia scurisce sentieri di benevolenza e di pace. 

Nel deserto si scoprono le nostre fragilità, si vede sempre meglio quale polvere aleggia sulla nostra anima e si arriva a riconoscere la propria debolezza come luogo di incontro con il Signore

Quando sono debole è allora che sono forte ( 2 Cor 12,10).

 Il deserto è il luogo dove, sotto lo sguardo della “Verità”, impariamo a fare spazio a Dio a scoprire noi stesse e ogni uomo come oggetto di uno sguardo di compassione, di misericordia.

Il deserto è il luogo in cui scopriamo ciò che abbiamo nel cuore (Dt 8,2) ma è anche il luogo che fa scoprire nel cuore delle cose una “mancanza” che orienta verso l’Altro con la A maiuscola.

 Per attraversare il deserto, infine, è molto importante sapere di essere e sentirsi parte 7di una “carovana”, non allontanarsi mai da essa e non caricarsi di pesi inutili; apprendere a riconoscere i miraggi, sapersi orientare tenendo fermi i punti luce e non smettere mai di fissare la meta.

Puoi chiederti se vuoi:

Cerco un luogo di trasformazione del cuore?

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