L’eternità nel cuore

L’eternità nel cuore

«Capacem Dei, quidquid Deo minus est non implebit», chi può contenere Dio, non può essere riempito da qualunque cosa che sia meno di Dio.

Così giungiamo al Carmelo, con il cuore carico del desiderio di una vita autentica, della brama di un’esistenza che affondi le sue radici nella profondità dell’essere e non in superficie, al centro, al cuore della persona e non ai margini, della sete di comunione, di amore, di incontro, di sguardi, di verità, di bellezza, di una sete che non può essere saziata da qualcosa che sia meno di Dio. Questa è la nostra condizione del cuore, questo l’entusiasmo (nel suo significato etimologico dal greco: en dentro thèos Dio: il Dio dentro) della nostra scelta, questo l’incipit che ci spinge a lasciare ogni cosa, questa la sete dell’anima che ci proietta verso un orizzonte più grande rispetto alle piccole realtà che viviamo. Così, attirate al Carmelo: quel deserto dove Dio parla al cuore, ci dedichiamo all’ascolto della sua Parola, alla preghiera, al lavoro semplice e povero, all’umile sororità coltivando nei piccoli frammenti del quotidiano il desiderio di pienezza, di significato, di gioia vera.
Nel Cammino di perfezione S. Teresa scrive: «la sete esprime il desiderio di una cosa, ma un desiderio talmente intenso che noi moriamo se ne restiamo privi» (Cammino di perfezione XIX) e noi, cercando Dio approdiamo al Carmelo per invocare con la vita:«Di te ha sete, Signore, l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua» (Sal 62, 2) . Questa sete ardente ci orienta verso l’incontro con Lui come un Tu personale cui già nel bisogno sentiamo di appartenere. La nostra sete però non punta a riempire un vuoto bensì a godere di una relazione permanente, stabile, sicura.
Come il recesso più intimo del cuore, il desiderio di Dio fa della nostra vita, talvolta cisterna screpolata e sigillata, gelosa di sé stessa e delle proprie poche gocce di acqua amara, un vaso di alabastro pieno di nardo “sprecato” ai piedi di Dio per la sete di tanti fratelli. Si, nel cammino di sequela può accadere che la sete di Dio si trasformi in arsura insostenibile, che il silenzio e la solitudine del deserto ci disorientino fecendoci correre il rischio di piegare il desiderio di Lui verso idoli di potenza che sembrano, lì per lì, rassicurare e proteggere mentre promettono ciò che non possono mantenere, tuttavia sperimentiamo che le fatiche di una fede purificata, introducono in una ospitalità ancor più libera e in una confidenza ancor più ampia da rendere l’esperienza del deserto, pur se a prova di miraggi, un invito a non limitarci a cercare quanto piuttosto a lasciarci cercare, un varco sorprendente sul desiderio di Dio per noi che come “roveto ardente” sempre arde e mai si consuma, che come straniero al pozzo della nostra vita samaritana, adulterata da tanti bisogni, ha sete della nostra sete. Così il nostro cammino al Carmelo diventa parabola del reciproco desiderio, della tensione dell’incontro. Come la sposa del Cantico dei Cantici, percorriamo le tappe dell’avvicinamento a Lui, incontriamo difficoltà lungo la strada, sentiamo le angosce dell’assenza, la gioia della presenza, dell’incontro, dell’appartenenza. Il nostro desiderio, provato dall’aridità e dalla polvere del deserto, purificato ed affinato, riconosce di essere desiderato, avverte di essere e di vivere nel desiderio che Dio prova per noi, si abbandona, adora e umilmente esprime con la vita: Fuori di te nulla bramo sulla terra (Salmo 73 )

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“Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui.
Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, di’ ora con tutto tè stesso, di’ ora a Dio: Cerco il tuo volto. ‘ II tuo volto, Signore, io cerco ‘ (Sal 26, 8).
Orsù dunque. Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te assente? Se poi sei dappertutto, perché mai non ti vedo presente? Ma tu certo abiti in una luce inaccessibile. E dov’è la luce inaccessibile, o come mi accosterò a essa? Chi mi condurrà, chi mi guiderà a essa sì che in essa io possa vederti? Inoltre con quali segni, con quale volto ti cercherò? O Signore Dio mio, mai io ti vidi, non conosco il tuo volto.
Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te appartiene? Che cosa farà il tuo servo tormentato dall’amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarti e la tua abitazione è inaccessibile. Brama trovarti e non conosce la tua dimora. Si impegna a cercarti e non conosce il tuo volto.
Signore, tu sei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non ti ho mai visto. Tu mi hai creato e ricreato, mi hai donato tutti i miei beni, e io ancora non ti conosco. Io sono stato creato per vederti e ancora non ho fatto ciò per cui sono stato creato.
Ma tu, Signore, fino a quando ti dimenticherai di noi, fino a quando distoglierai da noi il tuo sguardo? Quando ci guarderai e ci esaudirai? Quando illuminerai i nostri occhi e ci mostrerai la tua faccia? Quando ti restituirai a noi?
Guarda, Signore, esaudiscici, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te: non valiamo nulla senza te.
Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi insegni, ne trovarti
Se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.”
Sant’Anselmo, Proslògion, 1

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