convivenza vuol dire conversione

Convivenza vuol dire conversione

Al nostro Carmelo la comunione comincia l’attimo dopo aver varcato la porta della clausura, quando, appena arrivate, affidiamo la nostra storia e tutto quanto ci appartiene alla comunità per un nuovo inizio. Parte l’avventura della consegna di sé a Dio in uno stile tutto proprio atto ad alimentare l’oblatività nel silenzio, nella preghiera, in una vita “separata” dal mondo ma profondamente integrata in esso e supplice per ogni suo bisogno. Parte il cammino della trasformazione, che è crescita purificazione, spoliazione… un dare tutto a Dio perché Lui che è il Tutto entri e dimori nella vita. Via via ci accorgiamo di non avere più niente di nostro… Sfida del quotidiano che viaggia dentro le fatiche che oltrepassano il primo impeto di generosità ed entusiasmo. Sfida che marcia sui bisogni che man mano ci si accorge di avere, dentro le povertà che si riconosce di possedere, dentro il vuoto che si sperimenta. Qui inizia l’esperienza di Dio, di un Dio concreto, presente, ancorato alla nostra vita. Prendono forma allora alcuni dettagli, come la cura dell’ambiente, la delicatezza nel tratto, l’attenzione alle sorelle anziane e ammalate, la precisone nel lavoro, la custodia del silenzio, la regolarità degli orari. Aspetti formali necessari per esprimere il senso di una vita incarnata, ben piantata a terra ma tutta avvolto dal fascio di luce della fede in una Presenza. Si libera man mano la mente dalle idee un po’ romanzate della vita monastica e si lavora per imparare ad abitare la vita nella logica dell’Incarnazione. Scattano le fatiche dell’obbedienza reciproca, dello stare al proprio posto, dell’aspettare e non prendere l’iniziativa se non è richiesto… e nel tempo ci si accorge di quanto liberante sia questa ascesi. Uno svuotamento progressivo di schemi mentali, precomprensioni, rigidità o anche solo bisogni di appartenenza … cumuli di ego inizialmente gettati qua e là, ora raccolti e fronteggiati dal grande desiderio di essere veramente piene solo di Lui e così servire e amare la comunità. Esposte a Cristo e alla sua opera trasformante ci impegniamo a mettere in discussione noi stesse e quel che ci accade affrontando, anche dolorosamente, le nostre povertà. È un’esperienza disarmante che mentre fa rimbalzare agli occhi le tante miserie che ci portiamo dentro, che vorremmo non vedere, cancellare e nascondere alle altre, restituisce la pace e la gioia corali dell’amore e del perdono reciproco. Convivenza vuol dire conversione. Stare in comunità è riconoscersi bisognose di misericordia, è affermare sulla nostra debolezza la potenza e la vittoria di Cristo. Una potenza che prende corpo nel ricominciare ogni a giorno, nell’andare solerti a pulire il giardino, a zappare l’orto, a cucinare, stirare, a prendersi cura delle sorelle ammalate. Una vittoria che abita le nostre guarigioni interiori scaturite dall’obbedienza filiale, e da mille sfumature di condivisione, fraternità, servizio. Ora la vita è offerta. Così la vita delle altre sorelle o quanto in vario modo veniamo a conoscere degli accadimenti del mondo, è sottoposto ad un nuovo modo di giudicare e valutare. Adesso tutto è strettamente legato al giudizio che abbiamo di noi stesse, alla nostra esperienza di povertà e di male che riconosciamo presente in noi. Adesso tutto passa e abita la preghiera che, come una lampada che arde e risplende, ci permette di comprendere cosa significhi perdono di noi stesse e degli altri. Adesso ci si rende conto con maggiore chiarezza e accettazione del bisogno di purificazione e guarigione per voler bene autenticamente noi stesse, gli altri, Dio. Ci si rende conto che tutto, proprio tutto è fatto per portarci a Cristo. Al Carmelo, con il Signore tutto è possibile, tranne che scappare dalla realtà.

1 Comment
  • Gianna Benatti
    Pubblicato alle 09:50h, 30 Aprile Rispondi

    Grazie di questa riflessione sul nostro egoismo quotidiano,spesso nascosto anche da opere di….carità! Grazie di farmi fermare e pensare! Unite nella preghiera !!!

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