22 Mar come si diventa monaca carmelitana?
Come si diventa monaca carmelitana?
La vita al Carmelo è risposta a una chiamata, come ogni altro stato di vita religiosa si riceve il dono di un’attrazione, di un desiderio, di un tendere verso la Santa montagna, per gustare la dolcezza della sua presenza e contemplare il suo volto. Dio si rivolge alla persona nella sua interezza, così com’è, nella sua libertà. Il Carmelo diventa desiderabile, luogo da “raggiungere”, a volte neppure conosciuto precedentemente. Veramente il Signore “chiama” in maniera inattesa e chi vuole! Può capitare che non ci rendiamo conto di quello che sta accadendo, troppo intente nella vita di sempre o, anche, che il nostro sguardo non incroci il suo e non vediamo il gesto della sua mano e, sopraffatte da altri suoni, non riusciamo a percepire il nostro nome. Questa tensione interiore, questo desiderio lo possiamo sentire nascere all’improvviso dopo un’esperienza spirituale intensa, come un fiore che sboccia aprendosi in tutta la sua forma, come la folgore che arriva impetuosa o lentamente ci avvolge nel tempo fino a maturazione, accompagnando lo scorrere della vita e coinvolgendo le scelte determinanti.
Ci si sente “costretti”?
La proposta di un progetto non suona mai come un’imposizione anche se l’amore, nella misura in cui inonda la vita, in parte trasporta e conduce dove non si andrebbe mai, a fare cose che diversamente non si farebbero. Possiamo dire che siamo libere di amare, mentre l’assenza di amore ci rende schiave. Ma non sempre è immediato prestare l’orecchio alla sua parola, comprendere la sua”chiamata”, rispondere al suo “desiderio”. Dio vuole la nostra felicità. Da sempre, lungo la storia, ha chiamato uomini e donne a vivere in disparte, nella solitudine, nel deserto, per sperimentare, attraverso il raccoglimento, una vita di profonda amicizia e intimità con Lui. Dapprima la persona scopre dentro di sé una spinta, una vera e propria attrazione verso un luogo, uno stile di vita, verso altre persone che conducono quella stessa vita da cui ci si sente affascinate.
Cosa spinge?
Cio’ che muove è comunque l’amore di Dio e se questo non è ben evidente all’inizio, diventa netto man mano che si percorre questo itinerario di trasformazione. Perché di un “cambiamento” si tratta. Non possiamo pensare di restare come prima, di “vederLo ” e rimanere tal quali, di fare esperienza del suo amore e di non percepire il nostro cuore che muta. Lui stesso ci fa dono di un cuore di carne “toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. Nella preghiera, nella frequentazione assidua della cella, nel silenzio e nella solitudine, la carmelitana non può evitare di guardare se stessa, consapevole della sua impotenza di fronte alla nudità, alla fragilità, all’ambiguità del suo essere “serva inutile” nelle mani di Dio. E dal suo Signore tutto attende: questa è l’unica certezza in un cammino nella nebbia fitta dove si naviga a vista. Un percorso in salita. In cui Dio porta a compimento l’opera che Lui ha iniziato e, volendo colmare interamente del suo amore, con estrema maestria lavora con strumenti adeguati il materiale che ha dinanzi perché sia perfettamente modellato. Vuoto da ogni ingombro. Capace di contenere l’esperienza dell’immensità di un amore trasformante.
La vita di cella, nella tradizione carmelitana è strettamente legata al tema del raccoglimento interiore, alla possibilità di percorrere gli spazi sconfinati dell’interiorità e di focalizzare sempre il nostro oriente in Cristo Gesù, in una ricerca instancabile di Lui che spinge a migliorare e a crescere nell’amore. Questo desiderio forte di “Dio solo” si esprime in una ricerca quotidiana dell’Eterno e nella costante consapevolezza di essere realmente peccatrici e non solo per modo di dire. Questa realtà può rendere “difficoltosa” la sequela, anche lì dove essa si profila come nostro vero bene e bene per altri. Se con sincerità guardiamo il nostro cuore, facilmente lo scopriamo altrove, sovente ripiegato su di sé, ma la vita monastica, l’assiduità con la Parola, è “spietata” in questa analisi. Non si può sfuggire, ci si ritrova per quello che siamo: persone che senza di Lui non possono fare nulla. Scopriamo di avere innumerevoli attaccamenti a falsi beni, di essere tenacemente raggomitolate su noi stesse, o su rapporti per noi significativi, o a cose pure buone, lecite. Ma se usiamo un po’ di onestà e rinnovato coraggio nel dare il nome autentico a ciò che abita dentro, se riconosciamo la nostra fragilità, la miseria che siamo, proclamiamo la sua misericordia, l’abbondanza della sua grazia nella nostra vita. Con il passare del tempo e attraversando l’itinerario di trasformazione interiore la monaca apprenderà che non c’è alcunché di preferibile al tesoro di Cristo, l’Unico necessario in cui possiamo riporre tutta la nostra fiducia, l’acqua in grado di dissetare la nostra sete.
E’ semplice o si incontra qualche difficoltà?
Le difficoltà iniziali a lasciare gli affetti più cari, la possibilità di una realizzazione lavorativa sono accenno di quella che i padri chiamano “lotta spirituale”: è l’uomo vecchio che portiamo dentro di noi, nel nostro mondo interiore che inizia a lasciare un po’ di spazio perché l’uomo nuovo rinasca dall’alto…l’immagine che abbiamo di noi, quello che ci siamo sempre raccontate sulla nostra storia, anche quella “spirituale”, di persona per bene, che prega, che cerca Dio, pian piano si sgretola e vengono meno i gineprai innalzati per difenderci e proteggere la vulnerabilità che portiamo dentro. Non ci sono altre vie d’uscita. Siamo davanti a noi stesse e quelli che sempre sono stati da noi considerati “aspetti del nostro carattere” iniziamo a considerarli dei difetti di fronte ai quali prendere una posizione è inevitabile: il Vangelo invita a un cambiamento: convertitevi!
Inoltre in sé la vita integralmente contemplativa è poco “comprensibile”, distante dai consueti modi di pensare e sentire il mondo di oggi che non tutte le persone che possiedono il germe della chiamata a tale stato di vita, hanno gli aiuti necessari per poterlo coltivare, comprendere, accogliere e rispondere nel suo inizio. E’ necessario allora valutare bene nella preghiera e accostare una comunità di vita contemplativa iniziando un percorso di autentico discernimento.
Ma concretamente come si diventa monaca carmelitana?
Il cammino per divenire monaca carmelitana può essere descritto nella sua duplice sfaccettatura. L’itinerario formativo si avvia con un periodo di orientamento e verifica della candidata all’interno della comunità durante il quale si effettua una prima conoscenza reciproca e si avvia un discernimento oculato sulle motivazioni umane e spirituale autentiche . Effettuata questo prima esperienza se vengono riconosciuti i requisiti essenziali di una vocazione carmelitana, si avvia il postulandato, un periodo che può variare da 6 mesi ad un anno durante il quale si conosce più da vicino la persona ed ella a sua volta, comincia a conoscere, senza nessun obbligo ma più dall’interno, la vita monastica nella sua dimensione ascetica, comunitaria, di preghiera Con il noviziato invece inizia la vita nell’Ordine, ed è un tempo particolarmente orientato alla vita spirituale affinché la novizia comprenda sempre più il senso della vocazione alla vita claustrale, e approfondisca il carisma carmelitano. Al noviziato segue la professione temporanea un atto pubblico, che incorpora all’Ordine con diritti e obblighi definiti, e impegna la professa a vivere secondo la regola. Dopo la professione temporanea, tenendo presente il cammino realizzato dalla monaca e seguendo determinati criteri di natura giuridica si emettono i voti solenni con i quali ci si consegna definitivamente e totalmente a Dio secondo lo spirito e la regola del Carmelo.
Dal punto di vista spirituale la carmelitana, vive le tappe del proprio cammino in un atteggiamento di continua formazione, sa che la sua vocazione prosegue evolvendosi in una costante dialettica di morte/vita e attraverso l’esperienza pedagogica e trasformante
del silenzio
dell’ascesi personale e comunitaria
del deserto
della solitudine
dell’abbassamento
dell’”ateismo pratico”
del limite esperienziale
della debolezza
della fatica, dell’umiltà
del cuore toccato dalla compassione
della dialettica amore/osservanza
della “volontà comune”
“dell’Unità plurale”
dell’amicizia spirituale
Pingback:monaca carmelitana una comparsa sulla scena del mondo
Pubblicato alle 21:51h, 22 Marzo[…] La monaca carmelitana ben interpreta il ruolo della comparsa osservando la custodia del cuore e delle labbra, cedendo la parola, lascia il passo a chi gli è accanto e volentieri si fa canale del ciglio di scorrimento delle acque lungo la strada principale. La monaca carmelitana vive il suo palcoscenico con Dio davanti a Lui solo, chiusa la porta della cella pregando il Padre nel segreto. Modesta figurante sulla scena della sua comunità, tra la manciata dei più prossimi fino a lambire l’orizzonte della storia con ogni persona, la monaca conosce il lento processo dell’autentico raccoglimento interiore dove trova il suo giusto posto. Sceglie di restare luce fioca, silente, mettendo al centro l’altro con il suo mistero ma anche la sua diversità a volte più carente della propria persona ma memore del Paolino gareggiate nello stimarvi a vicenda vive un passo indietro lasciando, l’ultima parola, l’ultimo gesto, lo stare al cuore della fraternità. Vive fino in fondo il ruolo di comparsa considerando realmente le altre superiori a se stessa, la sua è una “minima importanza nella parte” agli occhi del mondo e di questo gioisce il suo cuore perché da buona comparsa, a sera, sa di essere stata serva inutile e questa è la sua paga …sera per sera! […]
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Pubblicato alle 21:52h, 22 Marzo[…] missione, fondata in un amore sempre crescente, assume nella vita della monaca carmelitana le seguenti […]