
10 Gen In cammino nel deserto
” I nostri primi padri, sull’onda della spiritualità del loro tempo (secoli XII-XIII) cercarono di realizzare quest’impegno ascetico ritirandosi nella solitudine. Ma più che una realtà materiale, il loro deserto era un luogo del cuore, il contesto della dinamica vitale di chi centra tutto su Dio solo. Essi avevano scelto di seguire Gesù Cristo che ha annientato e svuotato se stesso fino a morire nudo sulla croce. Ma, uomini di pura fede, attendevano il dono della vita nuova ed eterna, frutto della Risurrezione del Signore.
Solitario e arido, il deserto fiorisce e diviene il luogo in cui l’esperienza della presenza liberante di Dio forma la fraternità e spinge al servizio.
Sulle orme dei primi eremiti carmelitani percorriamo anche noi la via del deserto che sviluppa la nostra dimensione contemplativa. Ciò vuol dire abbandonarsi a un processo graduale di autosvuotamento e spogliamento di sé per essere riempite di Dio. Questo processo comincia quando ci si affida a Dio, quale che sia il modo che egli sceglie per accostarsi a noi (RIVC 2000,27). Giovanni Paolo II ci ricorda questo senso del deserto: Amate la vostra separazione dal mondo del tutto paragonabile al deserto biblico. Paradossalmente questo deserto non è il vuoto. E’ qui che il Signore parla al vostro cuore e vi associa strettamente alla sua opera di salvezza. (Lisieux, 4; VS, nota 58).
Potremmo anche dire che l’enfasi caratteristica della vita contemplativa nella solitudine e nel silenzio, sperimentati dalla carmelitana per vivere nel deserto del cuore, rende più evidente nell’Ordine e nella Chiesa che solo Dio basta. L’enfasi sul deserto dell’antica tradizione monastica come imitazione del Cristo che ivi fu condotto per essere tentato, trova eco nell’esperienza delle monache: Mediante la clausura, le monache realizzano l’esodo dal mondo per incontrare Dio nella solitudine del ‘deserto claustrale’, che comprende anche la solitudine interiore, le prove dello spirito e il travaglio quotidiano della vita comune, come condivisione sponsale della solitudine di Gesù al Getsemani e della Sua sofferenza redentrice sulla croce (VS, 4).
Non entriamo infatti nel deserto da noi stesse, ma è lo Spirito Santo che ci chiama e ci attira in esso, è lui che ci sostiene nel combattimento spirituale, ci riveste con l’armatura di Dio, ci riempie dei suoi doni e della divina presenza, finchè siamo tutte trasformate in Dio e riflettiamo qualche raggio della sua infinita bellezza. (cfr RIVC 2000, 27)
Oltre al simbolo del deserto la tradizione carmelitana ha utilizzato espressioni e immagini per questo processo di trasformazione: puritas cordis (purità di cuore), vacare Deo (essere liberi per Dio), salita del Monte Carmelo, notte oscura”.
Ratio Institutionis Vitae Carmelitanae Monialium 2007, 13
simona
Pubblicato alle 21:46h, 22 AgostoGrazie per la splendida testimonianza….
Credo che solo se si entra nella dimensione del silenzio del cuore si ritrova se stessi!
Pregate per me