30 Nov ASCESI
Ascesi cristiana
“La sequela di Cristo, l’imitazione di Cristo traducono in atto con formule diverse, l’atteggiamento fondamentale e tipico dell’uomo di fede. L’uomo spirituale è l’uomo che dallo Spirito di Cristo riceve il coraggio e la grazia di comprendere come suo bene la sua conformazione a Cristo.
Con questa battuta d’avvio delineiamo il quadro di riferimento e la finalità dell’ascesi cristiana, come ‘esercizio’ quotidiano ad aprirsi alla grazia di ricevere la condizione di discepolo e assumerne la “forma” di Cristo.
È importante prima di tutto operare un passaggio imprescindibile: quello che va da un’ascesi autogratificante ad un’ascesi autotrascendente. Da un’ascesi centrata sulla ricerca o ascolto di sé ad un’ascesi che, presupposto del dono di sé, intende condurre l’uomo ad una reale autotrascendenza.
L’ascesi cristiana, è la sequela Christi: in forza dello Spinto (“ricevete lo Spirito Santo”) la Chiesa diventa ed è il luogo nel quale storicamente i credenti si esercitano ad assumere lo stesso Spirito di Cristo, cioè a “diventare” cristiani, di Cristo. La stessa grande tradizione della Chiesa documenta ampiamente come i credenti nella Chiesa si sono esercitati e si esercitano “normalmente”, quotidianamente, ad assumere lo, Spirito di Gesù.
Si pensi in merito ad alcune grandi forme di ascesi spirituale cristiana che si sono espresse, e si sono di fatto imposte lungo la storia della Chiesa. Queste grandi forme ascetiche della tradizione cristiana – che hanno educato e maturato lungo la storia umana vocazioni autentiche – sono anche una provocazione alla sequela di Gesù oggi.
IMPORTANZA DEL TERMINE
Ma fermiamoci un attimo sul termine “ascesi” soprattutto per il suo valore nella vita monastica.
« Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». ( Mt 6,6)
Tu quando preghi …
Un invito a consolidare il cuore al sicuro da:
pensieri che si sono fissati nella mente, immagini scolpite nella fantasia, parole immagazzinate in memoria e qualsiasi altra esperienza entrata in noi per mezzo dei sensi.
E ancora una esortazione a liberarsi da :
modelli inadeguati per non dire spregevoli verso cui la coscienza può essere attirata, a volte rivivendo deliberatamente altre furtivamente generando un faticoso conflitto interiore.
Chiudere la porta della camera:
porre Cristo crocifisso tra il nostro spirito e il guazzabuglio dei pensieri mondani che affollano la mente e il cuore.
“Entrare” nella propria camera porsi di fronte a Dio ed aprirsi al dialogo con Lui comporta un coinvolgimento di tutto l’essere, spirito, anima e corpo, nell’esperienza della conversione, del ritorno a Dio, del dimorare e lasciarsi abitare da Lui comporta cioè un’ascesi.
Sin dalle origini, i cristiani professano di aver ricevuto lo Spirito di Dio e la prova della sua presenza è data dai diversi carismi elargiti a ciascuno e fra questi il più grande è la carità in tutte le sue forme compresa la più grande: il martirio.
Conosciamo la storia di molti testimoni che hanno rinunciato alla vita, donandola per amore di Dio nel martirio. Anche Antonio il grande, padre del monachesimo, sentì forte l’urgenza di dare la vita per il Vangelo ma la provvidenza non gli chiese di versare il suo sangue quanto piuttosto di vivere nel deserto il martirio della coscienza in una vita di solitudine, di silenzio, di penitenza, di preghiera. Da quel momento la vita monastica è considerata come ciò che sostituisce il martirio. Attraverso una vita ascetica, i monaci, come atleti di Dio, sono chiamati a testimoniare la forza dello Spirito che opera in loro.
L’Ascesi allora è dimensione imprescindibile nella nostra vita monastica quale esercizio, allenamento, pratica.
Ma a cosa ci allena? Non mettiamo alla prova le nostre forze per conoscere i nostri limiti o la nostra resistenza, non scegliamo di praticare rinunce o penitenze finalizzate a se stesse, per alimentare l’amor proprio o come forme di alienazione e /o sublimazione difensiva.
La vita di tutti i giorni conferma invece che si tratta piuttosto di sperimentare sulla nostra pelle quanto siamo deboli, come il peccato sia sempre accovacciato alla porta, quanto sia ardua la lotta con i molti loghismoi che affollano la mente, quanti idoli siamo capaci di costruirci dentro per giustificare così le nostre tendenze e, con la crescente coscienza della nostra pochezza, accogliere la grazia Dio in noi, percepire il dono che effettivamente ci viene continuamente elargito.
Riconoscere questa grazia dà lo slancio per vivere ogni rinuncia.
L’ascesi pertanto è anzitutto una necessità: la stessa maturazione della persona, la sua umanizzazione, esige una corrispondenza interiore … un dire dei «no» per poter dire dei «sì»: «Quando ero bambino, parlavo e pensavo da bambino ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato»scrive san Paolo (1Cor 13,11).
FINE
L’ascesi è e resta sempre un mezzo ordinato all’unico fine da conseguire: la carità, l’amore per Dio e per il prossimo. Come dice Simone il Nuovo Teologo: «Ogni sforzo ascetico, che pur comportando molte fatiche, non conduce alla carità con uno spirito contrito è vano e non serve a nulla di buono».
Non sarebbe possibile senza la continua esperienza di cadute, di fallimenti, di «peccati», perché sono questi che fanno sì che l’ascesi sia sempre assolutamente indissociabile dalla grazia: «Che uno possa vincere la sua natura non è tra le cose possibili» (Giovanni Climaco).
L’ascesi non ha come obiettivo il perfezionamento del proprio «io», ma l’educazione dell’«io» la libertà e la relazione con l’altro: il suo fine è l’amore. Anche l’interiorità va educata, anche l’amore va sempre affinato e purificato, anche le relazioni vanno rese sempre più intelligenti … più rispettose.
Tento alcune esemplificazioni, senza la pretesa di esaurire l’ampiezza dei temi che si possono affrontare a questo riguardo, ma solo per offrire alcune suggestioni.
Succede per esempio di ritrovarsi “legati” agli altri, rimanere emotivamente turbate dall’amore verso una persona, sentirsi spinte a ricercarne la vicinanza, lasciarsi privare della propria libertà interiore, fondamento di una vita di preghiera, della ricerca di Dio, della crescita spirituale… Oppure può accadere di essere preoccupate per le condizioni di persone a noi care, per la loro salute, per le loro necessità, fino al punto da impantanarsi in forme di agitazione centrate sulla nostra necessità di tenere tutto sotto controllo e che in un modo o in un altro denunciano il nostro delirio di onnipotenza o le nostre insicurezze, l’idolo di noi a noi stesse. Altre volte si può invece rimanere scosse a causa dell’ostilità, il risentimento, il disaccordo nei confronti di altri al punto che l’amarezza che pervade l’intimo ci impedisce di liberaci da pensieri non buoni… O ancora ci si può sentire trascinate verso l’altro senza neppure accorgercene finendo per prendere rotte virtuali o reali che ci permettano di avere visibilità, che favoriscano l’espressione delle nostre capacità o la brillantezza del nostro acume spirituale… tutte le nostre bravure insomma, e accaparrarci così lo spazio delle notizie del giorno, trovare degli ammiratori, nutrire il nostro autocompiacimento…
In questi casi “chiudere la porta” (vivere una vita ascetica) significa rompere con quanto ci dis-toglie da Dio non nel senso che bisogna troncare i rapporti o dissociarsi dagli altri, o rivestirsi di falsa modestia assumendo uno pseudo profilo basso ma significa collaborare con la Grazia lavorando su di sé per purificare le intenzioni che ci portano verso l’altro e porre un freno o , dove giova, recidere con pazienza ma altrettanta forza tutto ciò che alimenta la propria autoreferenzialità e il desiderio di essere glorificata.
Da questa puntualizzazione esemplificativa si deduce che l’ascesi di propria iniziativa è impensabile, né può appoggiarsi esclusivamente sul fervore, sulla generosità di ciascuna… essa si fonda sull’incontro personale con Dio, sul dono della Grazia e sulle esigenze dei carismi che Dio concede ad ognuna.
Come comprendere a quale ascesi siamo chiamate?
O meglio: Come discernere la misura della grazia che ci viene concessa?
Nulla è più facile che sbagliare in questo campo, confondere la qualità delle nostre aspirazioni e ispirazioni interiori e chiamare grazia quello che invece è illusione del nostro orgoglio o del nostro egoismo.
… Un cammino nel discernimento (anche supportato da una guida spirituale) e poi perseverare nella fatica e procedere nell’umiltà di fronte alle proprie miserie.
“Un anziano disse:” Acquistiamo la principale delle virtù: L’amore. Il digiuno infatti non è nulla, la veglia non è nulla, ogni fatica non è nulla se manca l’amore. Sta scritto infatti: «Dio è amore» (Gv 4,16) ”
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