Vita spirituale

Vita spirituale:
una traversata notturna verso lidi sconfinati.

“Venuta la sera, i suoi discepoli scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva…..Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: sono io, non abbiate paura!”(Gv.6,16-20)

“Come conosco bene la sorgente, che sgorga copiosa e scorre, anche se è notte…”(s. Giovanni d. Croce). La “notte”: un tema molto caro al grande mistico carmelitano. Un termine che ha molto a che fare con l’esperienza spirituale cristiana. “Notte”…una parolina così scarna, e tuttavia capace di evocare un mondo, che la teologia incornicia nella più ampia intelaiatura della “vita spirituale”. Giovanni della Croce, in Salita al Carmelo, identifica della notte tre tappe: c’è la sera, poi la notte fonda, poi la notte che prelude l’alba. Così è la “vita nello Spirito” o, per usare un’espressione cara ad un grande maestro di teologia spirituale dei nostri tempi, il Moioli, così è la “vita teologale” ossia una vita plasmata dalla fede, dalla speranza e dalla carità. L’universo simbolico entro cui si muove Giovanni della Croce è ricchissimo e affascinante, e la grande anima di questo straordinario universo è la Scrittura. Il santo carmelitano non solo l’ha studiata, non solo l’ha meditata, ma ne ha fatto la scoperta come di un grande “libro mistico”, dal quale ricava, come da “fonte cristallina”(cfr. CB strofa 12), alcuni cardini fondanti della sua teologia. La “notte” è appunto uno di essi. Ha tante facce, la notte. E’ l’esperienza vissuta nel suo aspetto cosmico, cioè del mondo che c’è, poi scompare, poi riappare; ma è anche il vissuto della notte che è calma, che è tempestosa, che dà l’impressione dell’insicurezza, ma anche di pace, è il momento dell’intimità, dell’incontro, della comunione, ma anche quello, gelido, dell’isolamento, del vuoto, della paura…. E’ l’esperienza del Figlio di Dio nei suoi appuntamenti notturni sul monte in un solo a solo con il Padre; o quella di Nicodemo nella sua ricerca notturna tra il buio dell’incomprensione e il desiderio di verità; o quella, scarnificante, del Figlio dell’Uomo nell’arena del Getsemani…; o infine quella, agghiacciante, di Giuda, avviluppato dalla serpe del tradimento e della disperazione….Ma, come fa notare Edith Stein nella sua “Scientia crucis”, il simbolo notturno viene utilizzato dal santo carmelitano per rivestire e ricevere tutta la sua serietà e i suoi contorni dal vissuto della croce, croce non come simbolo generico del dolore e della sofferenza, ma come la “croce di Cristo”, alla quale il cristiano partecipa anzitutto entrando nella logica teologale, attraverso cioè un’esperienza che è come una morte, uno strapparsi dal modo in cui l’uomo è istintivamente portato a costituirsi non nella totalità vera, reale ma in quella illusoria, per collocarsi vitalmente nella verità secondo Dio, secondo Gesù Cristo. Deve morire qualcosa dentro di noi perché viva qualcosa dentro di noi: l’acconsentire a questo dinamismo di purificazione e di liberazione per poter percorrere la scala dell’ amore di Dio, che è prima di tutto opera Sua in noi, è la croce più vera del cristiano. Ossia la vita di fede: diventare un credente. Questo, in definitiva, è il modo con cui Giovanni della Croce legge la partecipazione alla croce e alla resurrezione, il faticoso e spinoso percorso notturno verso la luce. Questa l’essenza della vita nello Spirito di Gesù Cristo. E’ su questa vetta, che a ben guardare è quella del “monte delle beatitudini”, che devo piantare la mia tenda come sul Tabor, dove con gli illustri esponenti dei due Testamenti, mi è dato riflettere sulla Parola circonfusa dalla nube: “Questi è il mio Figlio, l’ Amato, ascoltatelo!” Ascoltatelo!! Fate tacere il vostro chiasso…Sì, perché tra la folla e i discepoli rimasti giù nella vallata serpeggia un vociare, chiedere, cercare, discutere…Maestro, non vedi quanto mi costa sbarcare il lunario per sfamare me e la mia famiglia? “Se tu sei Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane!”(cfr .Mt. 4,3)….Signore, devo assolutamente lanciarmi in quest’impresa, e gli ostacoli sono tanti. ”Se tu sei Figlio di Dio, ordina ai tuoi angeli di custodirmi nei miei passi!”(cfr. Mt. 4,6)….Dio, la malattia mi sta crocifiggendo e mi sta portando alla morte. “Se tu sei Figlio di Dio, fammi scendere dalla croce, e crederò in te!”(cfr. Mt. 27,40.42). Ma la vita spirituale non ha niente a che fare con un contratto. L’ “erba voglio” e il “tutto e subito” sono ricette mendaci e fallaci che non possono far presa su Gesù. Giovanni della Croce ce lo sottolinea con estrema chiarezza. L’averlo scelto come compagno di scalata, lui, mistico e dottore della Chiesa, non conferisce ad alcuno il diritto di sentirsi escluso dalla cordata. Dio non ha dato inizio alla parte più bella della sua creazione con un frate, un monaco, ma con due creature che avrebbero dovuto contenere in sé l’intera, variegata umanità; su di esse ha infuso il suo spirito perché assieme ai loro discendenti potessero corrispondere al suo amore e partecipare della sua vita, quella Vita che Gesù ci ha riconquistato e donato in pienezza. Ho scelto nondimeno la compagnia di un audace ed esigente scalatore pensando alla sensazione di tanti uomini e donne del mio stesso secolo e pianeta, affamati di ”valori alti” su cui giocarsi la vita, che posti di fronte alla tovaglia imbandita dall’odierna “civiltà dei valori” prorompono in un gemito carico di nostalgia: ”Siamo nauseati di un cibo così leggero!”(cfr. Nm. 11,6). Contrariamente ad Israele nel deserto, che di fronte al “cibo degli angeli” rimpiangeva il pane della schiavitù, credo che tanta parte del popolo di Dio, più o meno consapevolmente, si ritrovi oggi come “fuori” della casa paterna, e non sappia più cosa farsene delle carrube…”In casa di mio padre anche i salariati mangiano pane in abbondanza, e io qui muoio di fame…”(Lc.15,17). E’ forse questa l’esperienza di tanti battezzati che vorrebbero “vivere nello Spirito” ricevuto, ma sembra abbiano perso di vista la propria identità. “Mio Dio, scelgo tutto! Non voglio essere una santa a metà”…: Teresa di Liseaux aveva compreso che la grande posta in gioco per la nostra felicità non è la croce o la notte per se stesse, per inchiodarvi o imprigionarvi i brevi istanti della nostra vita, per poter dire a Gesù: ”vedi, non ti ho lasciato solo nel Getsemani o sul Calvario, pur avendo una gran voglia di dormire e di fuggire; ora finalmente vengo a sedermi accanto a te, come Giacomo e Giovanni, nel tuo regno”(cfr. Mt.20,21). Altra è l’aspirazione di Teresa, una dei piccoli ai quali il Padre ha riservato di conoscere i segreti del cielo. Amare e amare sempre, perché l’amore vince tutto…L’amore vero, che non ignora né rifugge la quotidianità della vita, con le sue piaghe aperte, le sue ferite e lividure, ma ha scoperto “la sorgente che sgorga copiosa e scorre, anche di notte”; che si fida di Dio, anche se non lo sente e non lo vede sulla barca, o gli si presenta d’improvviso, ma in modo così imprevisto e inusitato da dilatare il senso di allarme più che favorire una risoluzione pacificante della faticosa traversata notturna…Un Dio che è più intimo di me a me stesso, scopre l’inquieto Agostino, che io forse cerco affannosamente “fuori”, mentre sono sobbarcato da un mare di preoccupazioni e di difficoltà, avviluppato dalle alghe limacciose delle mie concupiscenze che faccio fatica a sopire e mi rendono estremamente arduo guardare le cose, le persone, gli eventi con gli occhi della fede, della speranza, del filiale abbandono…; cerco ”fuori” perché in fondo io sono fuori, mentre Lui se ne sta dentro di me, il capo reclinato sul mio cuore (cfr .Lc. 8,22-23) in attesa di un sussurro: “Gesù, io confido in te!” Se solo riuscissimo a fidarci del suo Amore…e a permettergli di germinare in noi…Cosa sarebbe la nostra vita con un pizzico di speranza, perché “la speranza non delude”, e sì…di tenerezza, di cui papa Francesco ci esorta a condire i nostri giorni senza paura. Insomma: vita nello Spirito, vita teologale. Vita che passa per la Croce di Cristo, come Cristo è passato per la croce dell’uomo. Ma il suo ultimo viaggio terreno verso Gerusalemme non si è concluso sul Golgota. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui”(Lc. 24,5). E qui concludo la traversata:

“Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva
alla quale erano diretti…”(Gv.6,20-21)

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