Presso l’icona della Natività

Accostandosi all’icona della Natività

12.Martorana Palermo fine XII

Icona della Natività
Martorana, fine XII, Palermo

L’uomo è il centro della vita creata e, di conseguenza, essendo immagine di Dio, è la via attraverso cui Dio agisce sul creato. La meta finale del creato è la sua trasfigurazione. Per la sensibilità iconografica il valore del mondo creato non consiste nello splendore passeggero del suo stato attuale, ma nella sua trasfigurazione potenziale, realizzata dall’uomo. La vera bellezza è l’irradiazione dello Spirito Santo, la santità. L’uomo che si lascia incontrare da Dio riflette lo splendore della grazia sul suo volto, che in lui traccia la “via della bellezza”. La santità è l’evidenza della gloria divina, come esprime P.N. Evdokìmov:

“Dio rifulse nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza della sua gloria, che è nel volto di Cristo (2 Cor 4,6). La luce risplende nei volti dei tuoi santi – canta la Chiesa. L’icona è una simile dossologia, un torrente di gloria, e la canta con i suoi propri mezzi. La vera bellezza non ha bisogno di prove: è un’evidenza eretta come argomento iconografico della verità divina.” (P.EVDOKIMOV, L’Orthodoxie, Neuchatel 1965, p.216)

Accostandoci all’icona della Natività non possiamo avere occhi per l’apparente bellezza, trascureremmo il santuario interiore costruito da Dio. Il mondo, creato in una luce precaria, quasi subito viene inghiottito dal buio della mangiatoia in cui è deposto il bambino. E’ l’oscurità che, portando separazione e angoscia, impedisce di vedere l’altro e scava il cuore umano fino a rischiare l’assenza di Lui; riceve luce quando Dio s’incarna per andare a cercare l’uomo lì dove si è cacciato, fino agli inferi: il timore allora diventa umiltà perché si apre all’immensità dell’amore divino e l’anima resta sbigottita di fronte alla gloria di Dio. (Cfr O. CLEMENT, Il canto delle lacrime, Saggio sul pentimento, Ed. Ancora, Milano 2002, pp.28-29.)

L’icona della Natività nasce da una duplice esigenza: essa deve significare che un abisso separa il nostro mondo dall’aldilà; parimenti deve affermare che un riflesso di questo mondo divino è visibile per noi uomini.

Con mezzi terreni, forme, colori, luce, la Natività evoca ciò che è fuori dal mondo sensibile rendendosi riflesso del Mistero dell’Incarnazione. L’Icona della Natività è il frutto di una spiritualizzazione, in senso intellettuale, da parte del genio greco; di una spiritualizzazione nel senso di glorificazione della materia da parte della tradizione biblica.

Secondo la tradizione dell’Oriente, l’icona in questo senso appartiene all’ordine dei sacramenti, i quali fanno sorgere nella materia una realtà nuova, quella della grazia di Dio incarnato.

Non solo l’icona della Natività, ma ogni altra icona possiede un forte riferimento al mistero dell’Incarnazione. In questo l’icona rispetta l’ordine della natura umana, ma la trasforma, la trasfigura. Questo mutamento non si opera aggiungendo dei simboli, ma si produce dall’interno, con una nuova messa in opera di tutte le componenti dell’icona: disegno, spazio, colori.

Nell’icona della Natività il disegno è come trasformato: viene tratteggiato dalle sapienti proporzioni di un’armonia di strutture e movimenti, come pure dalla concezione dello spazio dove non regnano più le dimensioni della natura, ma quelle dello spirito. Anche i colori si allontanano da quelli che si incontrano in natura, ma nella loro luminosa brillantezza esprimono la vita e la gioia divina. Ogni icona è una festa di luci e colori e nella Natività l’elemento più importante è la luce, che si presenta anche come elemento più immateriale, riflesso della luce divina. Essa non ha una sorgente fissa. Rende ogni cosa trasparente, alleggerisce la pesantezza del mondo materiale, fa risplendere le figure e i volti come cristalli. E’ anzitutto sui volti che appare la luce, che ha la sua sorgente nel mistero stesso dell’Incarnazione di Cristo.

Quando la scrittura dice “Alla tua luce vediamo la luce” (Sl 35), non fa altro che esprimere una realtà evidente: la corporeità è la struttura in cui si raccoglie una fiamma, la fiamma di quella vita divina che è il senso ultimo di ogni creatura. Per vederla l’uomo dovrà non fermarsi alle manifestazioni esterne della bellezza, godendole fino in fondo con un’intensa percezione dei sensi dell’anima e del corpo, ma, entrando nella “misteriosa caverna”, illuminata dai riflessi di luce della bellezza eterna, cella segreta dove i misteri di Dio fanno sobbalzare il cuore di gioia, là dove la bellezza può essere riscoperta nella sua dimensione religiosa, intesa come sorgente di ispirazione della recondita ricerca della Verità, luce che non tramonta.

La meravigia dell’uomo di fronte all’inaccessibile, che viene a trasformare la carne della terra in carne sacramentale, si esprime in un sorriso espanso sui lineamenti del suo volto: quel richiamo di bellezza gli sussurra di inventare di nuovo la sua vita, umilmente, ma con la genialità dello Spirito. E fra la sensazione della sua carne, che fa da schermo al suo profondo e resta opaco e del volto aperto alla nostalgia di sguardi che giungono lontano, si fa spazio l’icona di una spiritualità rinnovata, nella luce di un Bimbo a servizio di ogni bimbo nell’apertura della prossimità degli sguardi; avanza, nell’icona della Natività, una spiritualità rinnovata, nella luce del Figlio e al servizio di ogni Figlio, tracciante la bellezza dell’incontro con i colori della vita in accampamenti di pace nell’accostarsi lieto dei volti.

L’amore divino è un abisso ancora più profondo dell’inferno e vibra della luce della vita che si espande mettendo in fuga le tenebre della lontananza. Non si divide la gloria di Dio perché essa scaturisce in Cristo dalla divinità unita ipostaticamente all’umanità; l’Incarnazione è trasfigurazione segreta che dopo essersi velata per un attimo sul monte, scoppierà in tutto il suo fulgore negli inferi, fagocitando la morte nella vita. Cristo irradia la vita, e la svela liberata dalla morte e rinnovata secondo il volere di Dio. Il grido dell’uomo: De profundis clamavit ad te, Domine…(sl 129) narra il vero peccato: il non provare in noi la grande sete, quella dell’amore di Cristo che nel dinamismo della somiglianza chiama tutti alla salvezza.

Nell’icona della Natività, nel mistero dell’Incarnazione troviamo “scritto” quanto tutto è grazia: la salvezza come anche la lunga deplorazione. La luce si fa strada schiarendo le tenebre: l’imago Dei riemerge luminosa dal fango, insufflata dallo Spirito di Colui che, risorto dai morti, non muore più, il Figlio del Dio vivente. Si ritorna al fulgore irradiante del battesimo: le lacrime liquefanno il cuore, riportando l’essere profondo dell’uomo allo stato delle acque delle origini sulle quali soffia in libertà lo spirito: la cecità del peccatore che dice l’insensibilità al Mistero è risanata da Gesù con un po’ di fango preparato mescolando saliva e terra, e poi lavato alla piscina di Siloe (cfr Gv 9,11). Spalmati dal fango del proprio essere uomo e dalla saliva divina, lavati dalle lacrime del pentimento, gli occhi del cuore si aprono ormai capaci di contemplare la luce del volto di Cristo, alla luce dell’eternità:

“Me misero, il fango mi soffoca. Nell’acqua delle mie lacrime lavami, o Signore; perché splenda come neve la mia tunica di carne”  ( ANDREA DI CRETA, Grande Canone, Ode V, tropaio XIV )

La struggente preghiera, segnata dal profondo lirismo, del grande innografo Andrea di Creta, dovrebbe fiorire sulle labbra di ogni creatura umana che, toccata dalla grazia, avverte il bisogno esistenziale di essere raggiunta, risanata.

In questo incontro, nella prossimità, ci affacciamo verso l’immensa tenerezza di Dio, la bellezza del suo sguardo sul mondo. Maria è la testimonianza viva e storicamente provata di questa bellezza umana recuperata, tanto da diventare porto di naviganti in mare tempestoso, luce lunare al calar del sole che rischiara il cammino della notte.

Nell’icona che altro non è che una tavola che porta con sé come in una culla il Verbo incarnato, l’uomo è fatto capace di scoprire la sacralità della sua vita nelle cose più umili in una perfezione espressiva attraverso il linguaggio simbolico. L’icona cerca di rendere conto di quella realtà invisbile agli occhi che è la bellezza della somiglianza, proposta per ogni uomo, realtà condotta al pieno compimento. La scena della Natività evoca un “evento”, un “racconto” preciso fino a raggiungere il nostro oggi e a diventare esperienza, lettura intelligente e sapienziale della vita, arte di una grotta trasfigurata. Sostare davanti al Bambino conduce all’unificazione di sé nel cuore accorto e vigilante che nel dolore e nella sofferenza dell’uomo è pronto a rintracciare le sembianze di Cristo fatto uomo nella vera culla che è il volto sfigurato dei fratelli.

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